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USI E ABUSI DEL POTERE
Storie di mobbing nella scuola
OLGA SERINA

USI E ABUSI DEL POTERE

STORIE DI MOBBING NELLA SCUOLA

Dedico questo piccolo libro a tutti i miei colleghi e agli operatori scolastici che hanno dato e continuano a dare un contributo alla Scuola Pubblica e in particolare a chi nel corso della propria carriera, dovendosi confrontare con questo increscioso fenomeno, non si è arreso e pur dovendo lottare, ha continuato a svolgere il proprio dovere.

Ringrazio di cuore Silvio Sgamma per la presentazione di quest' opera. Un grazie particolare a mio figlio Francesco per la sua collaborazione alla parte grafica.

Copertina di Francesco Torrisi

PRESENTAZIONE DI SILVIO SGAMMA

Ancora un libro di notevole interesse, “che mi onoro venire a presentare” ci viene offerto dalla eclettica artista Olga Serina, che intende darci con questo suo nuovo capolavoro: l’opportunità, il piacere di leggere, apprendere e commentare. Il tema attuale, riguarda in linea di massima la scuola, in rapporto al comportamento dei dirigenti, degli educatori, dei genitori e naturalmente degli apprendisti futuri adulti. La chiave di lettura che in questo caso Olga ci propone, potrebbe facilmente prestarsi a equivoci di sorta, per cui mi premuro precisare che le negative critiche tra le righe espresse, soprattutto al riguardo comportamentale “poco lineare e talvolta propendente verso l’illecito anche penale” di certi addetti ai lavori, non sono volte tanto ad incolpare quei protagonisti che nell’area scolastica comunque bene o male continuano a operare e tirare la carretta, quanto invece a metterne in evidenza le lacune spiacevoli e dannose che infestano i campi, seminando zizzania.

Lo scopo dello scritto è chiaramente quello di migliorare le strutture portanti della nostra società, renderle maggiormente funzionali e corrette ed in questo caso, ovviamente il racconto della scrittrice si allaccia alla struttura educativa scolastica, dove tra l’altro, serpeggia purtroppo il tanto deplorevole offensivo e dannoso mobbing. Ciò che la scrittrice tra gli incisi intende cautamente sottolineare, è palese e facilmente comprensibile. È più che logico che culli ella stessa il sogno e la bramosia di onestà, coerenza e trasparenza, con cui vorrebbe che i nostri comunitari istituti poggiassero su solide durature fondamenta. Naturalmente, Olga si rivolge al complesso scolastico, ove presta servizio in qualità d’insegnante, ove ha trascorso per lunghi anni le funzioni di precaria e dove finalmente oggi è insegnante di ruolo.

Ora per arrivare alla vittoria finale e perché la nostra società guarisca dal progressivo sgretolante morbo e soprattutto della sfrenata ambizione d’arrivismo di taluni contendenti, la strada è lunga, erta e faticosa, fa capo all’utopia forse più fantasiosa e come Olga sempre tra le righe ci vuole comunicare: “Non si vincono le battaglie con la sola forza della speranza, ma lottando strenuamente con l’animo onesto, senza paure, sotterfugi e sfuggevoli subdoli inganni.”

Recensione Mnamon 10 dicembre 2018

Quando si pensa al mobbing nella scuola, si pensa al bullismo ed alle prepotenze tra ragazzi, dimenticando gli insegnanti. Per meglio dire, si pensa anche agli insegnanti in termini degli abusi che questi sopportano da parte degli alunni stessi. Invero, anche la scuola è un ambiente di lavoro e, come in molti altri luoghi, i conflitti fra colleghi e con i superiori non sono sempre intonati al quieto vivere ed alla collaborazione. In questo libro Olga Serina racconta in prima persona le sue esperienze negative che le è capitato di vivere nel corso della sua carriera scolastica. È un’opera meritoria, in quanto mette in luce i caratteri, le invidie, le incomprensioni che si celano dietro le quinte e che non contribuiscono di sicuro alla serenità che gli educatori dovrebbero avere o mostrare davanti agli alunni. Il libro è scritto bene, con un crescendo di avvenimenti che crea una certa suspense e che coinvolge il lettore, tanto da farlo parteggiare per l’una o l’altra parte.

Nella seconda parte del libro, si parla della buona scuola e l’autrice si sofferma ad esaminare gli inconvenienti che si riscontrano, dispensando consigli e pareri sui comportamenti da adottare. Sembrerebbero suggerimenti scontati, la normalità, ma evidentemente così non è, come altri episodi ci insegnano. In essi si scorge una buona dose di saggezza e di obiettività e c’è da augurarsi che essi vengano letti e fatti propri dagli insegnanti o da chi sulla scuola deve sorvegliare, come per esempio nell’intelligente capitolo sulla videosorveglianza nelle aule. Serina conclude con un episodio finale che potrebbe stare nella prima parte, trattando ancora delle angherie cui a volte si è sottoposti da supponenti e disonesti superiori. In questo racconto possiamo intravvedere un riassunto dei capitoli precedenti e l’autrice ammonisce a mantenere la guardia alta, se veramente si vuole orientare la scuola verso una “Buona Scuola”.

PREFAZIONE

Il libro si suddivide in due parti:

La prima riguarda storie di mobbing nella scuola, vissute in prima persona.

La seconda parte si riferisce a diverse mie riflessioni in merito a questo fenomeno, alla “Buona Scuola” e in particolare al mal costume nell'ambiente scolastico.

Il contenuto di queste pagine è come una continuazione del precedente libro: SOS SCUOLA (pubblicato nel 2013) con la differenza che in quello ho voluto raccogliere tante testimonianze da parte di operatori scolastici, in particolare di docenti, dal Nord al Sud dell’Italia, in merito a fatti incresciosi e ingiustizie, dovuti ad abusi e a comportamenti palesemente scorretti.

In questo libro, invece, ho affrontato prevalentemente fatti vissuti in prima persona, senza nominare ovviamente persone o luoghi in cui sono avvenuti i fatti. Entrambe le opere sono accomunate da un unico filo conduttore e ho voluto evidenziare come la storia si ripeta e come esistano le stesse dinamiche che destabilizzano il sereno svolgimento delle proprie mansioni nell’ambiente di lavoro.

PREMESSA

Chi leggerà queste pagine, probabilmente resterà sbalordito di come sia possibile che possano verificarsi simili situazioni e come l’essere umano possa cadere così in basso. Del resto esistono comportamenti ancora più raccapriccianti se dovessimo paragonare questi fatti incresciosi ai mali peggiori che si sentono nella cronaca, infatti non c’è fine al peggio. È anche vero che ormai non ci si stupisce più di niente, talmente si è abituati alla scorrettezza e alle ingiustizie di cui siamo testimoni, comportamenti che si verificano in ogni luogo, epoca e ambiente di lavoro. In questo libro mi limito a raccontare soltanto le esperienze negative, che sembrerebbero direi inverosimili, quelle che mi hanno lasciato un segno.

La prima domanda che il lettore potrebbe porsi è questa: “Come mai queste tristi esperienze capitano tutte all’autrice?” La seconda domanda potrebbe essere: “Perché questi fatti incresciosi li ha resi pubblici?” Rispondo per prima alla seconda domanda: Non credo sia giusto mettere alla luce soltanto i lati positivi e tutte le grandi soddisfazioni che ho avuto nell’arco della mia esistenza. Infatti i diversi libri che ho scritto affrontano varie problematiche. In alcune pagine ho racconto anche dei miei successi e delle mie varie gratificazioni. In fondo mi reputo una persona molto fortunata in campo sentimentale e nelle relazioni umane.

Ho voluto rendere pubbliche le mie esperienze negative, vissute nell’ambiente di lavoro, perché non ho nulla da nascondere, o da temere. Si dovrebbero piuttosto vergognare gli individui che agiscono male! In questo libro ho voluto mettere nero su bianco: tutto ciò che in prima persona ho vissuto in veste di docente, nonostante sia amata e stimata dai miei alunni e dalle brave persone. Ho voluto mettere alla luce gli aspetti negativi per evidenziare talune sfaccettature della psicologia umana, spesso poco tenuta in considerazione.

Ecco la seconda risposta: non è che capitino “tutte a me” perché io faccia qualcosa per attirarmele, ma semplicemente perché per quanto io sia rispettosa e gentile con tutti, mal sopporto certi atteggiamenti di prevaricazione o i modi arroganti. Tante persone so che ci riescono a passarci sopra, perché hanno un carattere remissivo, mentre io, anche se in maniera civile, mi ribello sempre alle sopraffazioni. Per questo motivo, senza volerlo, faccio irritare i malvagi o i superbi, poiché questi credono di essere autorizzati a calpestare la dignità degli altri e guai se qualcuno glielo fa notare!

PARTE PRIMA

STORIE DI MOBBING NELLA SCUOLA

CONSIDERAZIONI

Attraverso le mie esperienze personali e le testimonianze assortite di tanti docenti in merito al mobbing, che ho raccolto nel libro precedente “SOS SCUOLA” ho potuto verificare che il movente è quasi sempre lo stesso e la storia si ripete. Di solito è il dirigente (spesso trattasi di donna) ad esercitare il mobbing sul dipendente di turno, ma sono rari i casi in cui il preside prende l’iniziativa, tra l’altro molti dirigenti non vedono quasi mai gli insegnanti o nemmeno li conoscono, dato che spesso, essendo reggenti, il loro ufficio si trova nella sede principale e per questo motivo, il più delle volte si fanno pilotare da qualche docente (senza scrupoli) capace di esercitare potere su di lui e di suggestionarlo con delle ipocrite moine.

Generalmente il dirigente che si lascia manovrare dai dipendenti, è persona molto insicura, priva di carattere e spesso manca del senso critico con cui per poter fare discernimento, valutando e gestendo le contingenti situazioni. È incapace quindi di dare un giudizio appropriato su una persona. Non fa nemmeno la fatica di verificare o di ascoltare l’altra campana, perché fidandosi ciecamente del proprio “aguzzino”, è come se avesse fatto un patto con lui (e col diavolo). Basta poco per esercitare mobbing su qualcuno che viene preso di mira, lo spietato “mandante” (di solito donna) fa di tutto per mettere in cattiva luce il proprio collega. Inventa calunnie sul suo conto, lo perseguita e ne annulla la personalità.

Per motivi di privacy e per tutelarmi, non ho potuto nominare né i luoghi dove si sono svolti i fatti, né tanto meno le persone interessate. In verità questi individui, artefici del male, meriterebbero oltre al licenziamento, qualche anno di galera, ma purtroppo la giustizia fatica già molto ad occuparsi dei casi più gravi, figuriamoci se si dovesse occupare di questi reati, purtroppo non sempre facili da dimostrare!

LA DIRIGENTE INTRATTABILE

Il mio primo trauma nella scuola fu in seguito ad un banale equivoco: dopo aver fatto leggere in classe ad un’alunna una mia poesia, la ragazzina (affetta da problemi comportamentali) uscì dalla classe eccitatissima, correndo per i corridoi e gridando: “La prof. Serina ci ha fatto pregare! La prof. Serina ci ha fatto pregare!”. La Dirigente, donna isterica e impulsiva, piuttosto che accendere il fuoco e collegare la lingua col cervello, alla fine della lezione mi mandò a chiamare e mi aggredì verbalmente, senza nemmeno chiedermi delucidazione circa i fatti verificatisi.

Cercando di mantenere l’autocontrollo, tentai di discolparmi, spiegando che in realtà, datosi che mancavano pochi giorni al Natale, avevo fatto leggere agli alunni una mia poesia dedicata di proposito alla Natività. La Dirigente, avvampata di odioso calore, sembrava però non recepire, mettendo oltre tutto in dubbio le mie parole, proseguendo imperterrita nella furiosa arringa, anche con la seguente ammonizione: “Ciò che ha fatto è molto grave e pericoloso perché ci sono alunni stranieri! Non si azzardi più a fare una cosa simile, perché i genitori se venissero a saperlo la mangerebbero viva!” Ricordo che in quella classe, l’unico ragazzo musulmano quel giorno era assente, ma non si sarebbe comunque nemmeno posto il problema, poiché si trattava di una innocua poesia che non aveva nulla a che fare con le preghiere, figuriamoci se avessi preso l’iniziativa di fare pregare gli alunni in classe in un contesto tanto inopportuno!

Per me fu una vera e propria doccia fredda, quindi risposi alla Dirigente, sempre mantenendo la calma, che secondo il suo metro di misura, noi docenti avremmo dovuto abolire nella scuola tutta la letteratura a sfondo religioso, come la Divina Commedia, i Promessi sposi del Manzoni e quant’altro, ma lei continuava ugualmente a sbraitare e urlare, ignorando le mie pertinenti considerazioni. In realtà la Dirigente si era fidata ciecamente di una ragazzina (con problemi comportamentali) che aveva alterato i fatti, mentre non si era fidata di me, persona adulta e votata all’insegnamento.

A conclusione, da quel momento la Preside, mi annotò negativamente sul suo personale libro nero. Mi prese di mira, diventando nei miei riguardi sempre più diffidente e scontrosa, anche se in verità, lo devo aggiungere, mantenne la sua tracotante scontrosità e diffidenza un po’ con tutti. Spesso sfogava la sua acidità persino con i bidelli, mostrandosi gentile e affettuosa soltanto con chi le andava a genio.

SVOLTO DELL’EPISODIO

La storia diventò ancora più intrigante. Tentai di fare capire alla dirigente che prima di giudicare una persona o un’azione da lei compiuta, avrebbe dovuto riflettere. La preside non si diede per vinta, infatti non solo non si scusò, ma decise di assumere nei miei confronti un atteggiamento ancora più altezzoso. Alcuni giorni dopo ci riunimmo per un consiglio di classe, eravamo presenti noi docenti e la preside. Da premettere che: a parte l’incidente raccontato, di quella scuola conservo anche un bel ricordo. Mi trovai molto bene con i colleghi, per buona parte persone tranquille, affabili e corrette.

E per tornare al dunque: ebbi un’idea brillante: poco prima di accomodarci per discutere sui problemi di classe. Mentre qualcuno scambiava quattro chiacchiere o prendeva un caffè, diedi ai miei colleghi la copia di una lettera aperta che avevo scritto (con il cuore) pochi giorni prima. Questa era logicamente generica e riguardava alcune mie profonde riflessioni, non positive, in merito a tante scuole di oggi, alla società e all’ipocrisia dilagante. Il mio intento era quello di scuotere un po’ le coscienze. Ovviamente non diedi la copia alla dirigente per non sembrare provocatoria, anche se confesso che forse, in fondo, esisteva in me anche una voglia di “provocazione” nei suoi confronti, dato che molto probabilmente qualcuno prima o poi gliela avrebbe fatta leggere, per cui mi faceva piacere che anche lei ne venisse a conoscenza. Del resto non avevo nulla da temere o da nascondere, tanto più che non accusavo nessuno.

Sono sempre più convinta che chi ha il coraggio di scrivere, sia una persona trasparente, perché solo chi non lo è, scrivendo rischia. Lo scritto infatti non si può rinnegare. “Verba volant, scripta manent”. Sta di fatto che durante la riunione in sala insegnanti, la dirigente la sparò proprio grossa. Aprì un discorso che non aveva nulla a che fare con i problemi da discutere e avrebbe fatto più bella figura se fosse stata zitta. Risultato: ancora una volta avrebbe voluto umiliarmi e mettermi in cattiva luce, ma fece davvero una magra figura! La sua arma le si rivoltò contro, perché non sapeva con chi aveva a che fare.

Disse testualmente davanti ai colleghi: “Mi rivolgo alla prof. Serina e mi domando: come si è permessa distribuire questa brutta lettera ai professori, in un contesto che non ha nulla a che vedere con quello che ha scritto? Non avrebbe dovuto farlo… nella maniera più assoluta! Si renderà almeno conto della gravità della sua azione e che avrebbe dovuto quanto meno consegnarla in busta chiusa?” Toccata nel vivo risposi prontamente e di rimando: “Come fa a dire che è brutta? È bella invece! L’ha letta almeno? E poi bella o brutta che sia poco interessa, perché quello che ho scritto è la verità! Se per lei comunque non è la verità e non condivide il mio pensiero, non è un problema! Può esprimere pure il suo giudizio con tutta tranquillità, ma non c’è bisogno che si alteri, si calmi! Siamo in democrazia!”

La dirigente, sempre più agitata, continuava a sbraitare: “È brutta… non è bella!” Intervenne al dunque l’insegnante di religione che prese le mie difese: “Mi scusi, signora preside, ma cosa ha fatto di male la mia collega? Ha semplicemente scritto alcune sue riflessioni, molto genericamente ed esprimendo un suo giudizio e badi bene che non ha additato nessuno!” Ero molto infastidita, anche perché non mi aspettavo una simile reazione da parte della dirigente che avrebbe essere la nostra maestra guida. La credevo più intelligente, ero convinta che avrebbe fatto finta di niente, invece… in questo modo si era sentita chiamata in causa ed aveva ancora una volta detto la sua.

Grazie al Cielo, me la cavai abbastanza bene, mi uscirono le parole giuste e mi difesi, lasciando la preside senza parole. Notai i volti dei miei colleghi che rimasero esterrefatti, non volava nemmeno una mosca. Chissà cosa avranno pensato in quei momenti? Continuai con calma e decisione: “Ascolti bene, Preside, lei è la dirigente, ma ciò non significa che può abusare del suo potere! Io ho fatto benissimo a regalare ai miei colleghi la copia della mia lettera aperta e poi il termine stesso dice che è aperta! Di conseguenza non c’era alcun bisogno di consegnarla in busta chiusa!”

Mi interruppe, urlando: “Lei sta facendo politica!” “Ma nella maniera più assoluta! Cosa sta dicendo? Mi dica allora: A quale partito apparterrei? Proprio a me viene a dire che faccio politica quando sono apolitica da sempre? Nel mio scritto ho semplicemente parlato delle cose che io contesto in senso generico! Ribadisco, non si permetta più di dirmi che non avrei dovuto scrivere e distribuire una lettera aperta, perché siamo in democrazia! Anche lei è libera di scrivere ciò che vuole! Non solo, scriva! Scriva pure i suoi pensieri, nessuno glielo impedirà!” Nessuno fiatava e la dirigente, imbarazzata non sapeva cosa dire, tentò di arrampicarsi sugli specchi e cercò di accusarmi a sproposito continuando imperterrita: “La deve smettere di distribuire agli alunni le immaginette con le preghiere! “

A questo punto, superato che ebbe ogni limite, persi la pazienza ed alzai il tono di voce: “Si rende conto di quello che sta dicendo? Adesso se permette, le spiego come sono andati i fatti! Io ho lasciato sul tavolo degli insegnanti delle immaginette raffiguranti Gesù Misericordioso, con la rispettiva preghiera sul retro e quindi i docenti interessati spontaneamente ne hanno presa una. E allora… è successo forse qualcosa di grave? Se qualche insegnante una mattina pensasse di regalare ai colleghi delle caramelle e le mettesse sul tavolo dell’aula degli insegnanti. Qualcuno glielo potrebbe impedire? Anche questo per lei è un reato? E poi cosa c’entrano gli alunni?”

Come fa a ribaltare i fatti, dicendo che ho regalato ai miei alunni le immaginette religiose? Anzi, le dirò di più, il don … (insegnante di religione) ha donato un’ immaginetta religiosa per Natale agli alunni e ben venga! Bravo Don! Hai fatto benissimo! Il gesto è stato certamente gradito dagli alunni cattolici, essendo la maggioranza!” Il don disse: “Si, è vero, ho regalato un’immaginetta a ciascun alunno per Natale”. Intervenne anche una mia collega che aggiunse: “Allora eri tu che lasciavi le immaginette sul tavolo per noi docenti? Pensavo che le avesse portate il don! Però mi ha fatto tanto piacere! A mio avviso, è stata una cosa veramente ben fatta!”

La stessa si rivolse poi alla dirigente e disse: “Mi deve scusare, ma la collega Serina non ha fatto nulla di male, anzi, ha avuto un’idea carina!” La preside dovette stare zitta e cambiò argomento: “Basta, cominciamo il consiglio di classe!” Le scappò una risata isterica, forse per nascondere il suo imbarazzo, sembrava un’ oca starnazzante. Che figuraccia! Da quel giorno la preside non mi disse più nulla, probabilmente mi guardava con più rispetto, anche se non mi diede mai la soddisfazione di ammettere le sue colpe, non solo, nemmeno mi salutava ed io invece ero sempre garbata con lei, come se nulla fosse successo.

A volte rifletto sullo spiacevole episodio che venne a crearsi e adesso vorrei fare un parallelo per far capire il senso di ciò che in realtà era accaduto. Poniamo l’esempio che in un ufficio, tra diversi colleghi esista una persona cleptomane, che si mimetizza abbastanza bene tra le brave persone e ogni tanto si verificano degli dei ladrocini. Ebbene, un giorno la persona derubata, decide di mettere a conoscenza lo staff aziendale, mediante una lettera, con la quale spiega che nell’ufficio c’è qualcuno con le mani lunghe, essendogli venuto a mancare il proprio cellulare e una penna di valore. Logicamente il derubato, così facendo, non colpevolizza nessuno specificatamente in quanto non ha sospetti, ma ritiene opportuno informare colleghi e dirigenza, anche per dare un segnale di allarme e di raccomandazione a non lasciare valori incustoditi.

Ebbene, nel caso specifico si osservano due tipi di reazioni da parte degli impiegati ed anche molto ovvie: la prima è l’ approvazione della lettera, la seconda è il disagio, essendo uno solo il colpevole, ma tutti sospettosi l’uno verso l’altro. In contemporanea il colpevole, in cuor suo, accusa il colpo e si rammarica della diffusa notizia che potrebbe arrecargli danno, farà sicuramente finta di niente, ma avrà comunque un peso e sulla coscienza “ammesso che ne abbia” e chiaramente paura di essere scoperto.

Mostrandosi invece offeso, significherebbe avere il carbone bagnato e darlo facilmente a capire. Sarebbe questo un comportamento da stupido, anche se verso il derubato crescerà l’amaro risentimento. A parte tutto, la dirigente in questione non era poi così cattiva rispetto ad alcuni presidi che conobbi in futuro. Aveva certamente un brutto carattere, era molto istintiva e irascibile, Era una persona palesemente passionale, forse limitata, ma incapace di fare del male.

Vero il detto: “Cane che abbaia non morde”.

Ecco la lettera aperta che fece infuriare la dirigente:

LETTERA APERTA

Riflessioni di Olga Serina

1) L’Italia è un paese di democrazia o dittatura? 2) È vero che gli insegnanti non sono più liberi di sviluppare negli alunni il sentimento religioso e per Natale gli alunni non possono più cantare canzoni natalizie? È noto che in alcune scuole è stato tolto il Crocifisso dalle pareti delle aule. È proprio vero che storicamente siamo un popolo di dominati. Trovo che sia scandaloso dover rinnegare le nostre origini culturali!

La mancanza di senso religioso ha prodotto in tutte le scuole situazioni davvero paradossali: ormai noi docenti non ci scandalizziamo più degli atteggiamenti immorali dei nostri alunni, del linguaggio triviale e offensivo che usano, per arrivare in certi casi alle bestemmie che dobbiamo udire! Per non parlare di alcuni casi di violenza da parte di qualche alunno… e noi dobbiamo assistere a questo triste degrado, sentendoci impotenti. Varie sono le cause di tale fenomeno: il disagio di alcune famiglie, l’esempio che ci offrono la stampa e la televisione, ecc. Gli insegnanti devono continuamente sgridare, far prediche affinché i ragazzi moderino il loro comportamento, ma con scarso risultato. Anche dopo l’allontanamento della scuola per alcuni giorni, i ragazzi tornano ad essere quelli di sempre.

Qual è la causa di tutto ciò, oltre a quelle già menzionate? Senz’altro il decadimento dei valori che solo con il sentimento religioso potevano essere trasmessi dagli educatori. Oggi in alcune scuole si arrivano a tralasciare i canti natalizi, infatti durante l’esibizione canora di Natale si programmano solo canti non pertinenti alla Santa Tradizione. Il problema di essere succubi di qualcuno che si arroga il diritto di alterare le leggi che finora ci sono sempre state nel nostro Paese, è chiaro: SI VORREBBE REPRIMERE E OSCURARE LA NOSTRA IDENTITA’ RELIGIOSA NELLE SCUOLE E NON SOLO PER MOTIVI BEN PRECISI CHE IN TANTI NON RIESCONO A COMPRENDERE.

Tenterò di essere chiara e di spiegare le vere motivazioni di questa tendenza distruttiva, facendo anzitutto rilevare che la percentuale dei ragazzi che frequentano le Scuole Medie in Italia, appartenenti ad altre religioni è in minoranza e perciò non sarebbe affatto il caso di dover mortificare la nostra libera espressione culturale e religiosa.

Ciò premesso, mi soffermo sulla parola democrazia.

1) Rispettare l’altro non significa fingere di pensarla come chi non la pensa diversamente, ma significa accettarlo proprio nella sua diversità di pensiero o di fede, avendo il coraggio di mettere alla luce la nostra religione. Ciò non significa prevalere sull’altro o convincerlo a cambiare il suo pensiero per uniformarlo al nostro. Siamo in democrazia … e cosa significa questo, se non avere la facoltà di esprimere liberamente le nostre idee?

2) Siamo nel nostro Paese, ovvero in casa nostra e da ciò ne deriva il fatto che dovranno gli stranieri adattarsi alle nostre usanze e non viceversa. Noi dovremmo giustamente adattarci solo se andassimo per qualsivoglia motivo nei loro Paesi. Ci vogliamo rendere conto che è una pazzia dover soccombere a queste imposizioni? La nostra libertà di pensiero e di espressione in questo caso viene repressa! Non è forse questa una forma di dittatura? Credo assolutamente che chi sottostà a simili imposizioni non mostri grande convinzione nel proprio credo, non si dovrebbe aver timore di esibire la propria, ma esserne fiero.

Proviamo per un attimo a ribaltare il problema: facciamo finta che siano i nostri figli a vivere nei paesi islamici e di conseguenza a dover frequentare le scuole di luoghi, dove esiste una cultura diversa dalla nostra. Forse noi genitori potremmo pretendere dai musulmani di modificare le loro esternazioni culturali e religiose? E loro in casa propria si farebbero convincere? Pe quale motivo allora noi non dovremmo accampare e difendere i nostri sacrosanti diritti ereditati? Dirò di più: i musulmani sono orgogliosissimi della loro religione e non penserebbero mai di doverla nascondere, neanche per forma! Ecco la differenza che esiste tra loro e noi! A noi manca “purtroppo” la coerenza e il coraggio di tutelare il nostro Credo!

SONO STATI GLI STESSI CRISTIANI AD AVERE IMBASTITO TUTTO

Si camuffano, travisando la realtà e facendoci illudere che il problema nasca dall’esterno, mentre invece nasce dall’interno, per cui l’Islamismo diventa un pretesto per arrivare al loro scopo. Cristo è stato rinnegato ma non solo da Pietro. Noi stessi continuiamo a rinnegarlo. Il motivo è semplice: si vorrebbe deprecare la vita Cristo, perché Divinità scomoda in una società come la nostra, dove sempre più emergono i disvalori, mentre i veri valori tendono a scemare, predomina la legge del più forte, dell’edonismo, del materialismo e del consumismo più sfrenato.

Il Natale, solenne e universale ricorrenza, è lo specchio di questa società falsa e disgregata. Tutti fanno festa: (anche i non credenti) ci si affretta a comprare regali e regalini. Si organizzano pranzi, si programmano viaggi, ci si scambiano gli Auguri, però …poi? Per molti è perso il significato del Natale stesso, ovvero lo spirito primario della festività, che vorrebbero taluni diventasse pagana.

L’atteggiamento di finto zelo, se andiamo a guardar bene, non nasce da un’esigenza di rispetto verso gli immigrati professanti altre religioni e viventi in Italia, infatti proprio questi non si sentono disturbati, dal nostro modo di esprimere la spiritualità, dai segni religiosi o dai luoghi di culto, anzi al contrario, (come testimonia un nostro amico musulmano) tengono in grande considerazione simboli e Persone Sacre, semmai ciò che li indigna è la nostra ipocrisia, il nostro scarso rispetto del sacro, la nostra doppiezza nel separare la nostra identità religiosa dall’identità sociale.

Spesso se hanno qualcosa da ridire è proprio a proposito della nostra maniera annacquata di intendere la nostra religione. Per fare il punto sui musulmani, il Corano mette in risalto il rispetto dovuto verso tutte le forme religiose. Il problema dei Crocifissi nelle aule è stato sollevato da un islamico esaltato a cui la televisione ha dato spazio e forza, ma il pensiero di questo signore non può essere considerato rappresentativo del pensiero dei musulmani comuni.

Per concludere, si arriva oggi nei così detti paesi progressisti come il nostro, a festeggiare il Natale cristiano in modo fuorviante e ambiguo, come si trattasse di una festa privata dove si brinda, si mangia, si beve e dove i padroni di casa sanno di festeggiare il compleanno di un loro bambino, ma fanno di tutto per nasconderlo agli invitati perché essendoci alcuni amici stranieri potrebbero offendersi.

IL DIRIGENTE CHE SEGUE L’ONDA

Un’ esperienza altrettanto negativa l’ho vissuta in un’altra scuola e non la potrò dimenticare.

Una mia collega, amica del Dirigente, esercitando un certo potere su di lui, non mi sopportava affatto, perché mossa dalla meschina invidia, notava che ero stimatissima e ben voluta in quella scuola da tutti gli alunni. La goccia che fece traboccare il vaso fu quando un giorno in modo molto pacato, la ripresi a tu per tu, spiegandole che aveva sbagliato a parlare male di me in classe in mia assenza. Cercai di farle capire con tutta calma la gravità del suo gesto, ma era irremovibile, rimanendo nella sua presunzione, senza dare un segno di ravvedimento e senza chiedermi “Scusa”. Durante la mia carriera ho conosciuto diverse colleghe che hanno la pessima abitudine di parlare male dei colleghi alle spalle e la cosa peggiore è che o fanno in presenza degli scolari. Non si rendono conto che il fatto costituisce reato e che rischiano una denuncia per diffamazione. Ero stata informata da alcune mie alunne indignate per ciò che si era verificato ed ero stata messa in guardia, affinché non mi fidassi di certe colleghe avvezze a fare il fare il doppio gioco.

Ovviamente questa sorbì malvolentieri l’appunto che le feci, quindi architettò un vero e proprio complotto nei miei confronti. Fece di tutto per mettermi in cattiva luce col Dirigente che, almeno con me era stato sempre gentile. La cosa peggiore fu che da quel momento il preside prese a perseguitarmi, fino a controllare ogni mia iniziativa come se fossi stata una docente incompetente, arrivando persino a rimproverarmi senza motivo, di punto in bianco, anche azzardando strane insinuazioni. Coinvolta che ero in quella spiacevole situazione, andavo perdendo gradualmente la necessaria serenità, aggravata da un conseguente stress psicologico. Soffrivo moltissimo e come se non bastasse, proprio in quel periodo mio figlio ebbe gravi problemi di salute. Mi vedevo osteggiata a scuola e pativo contemporaneamente delle gravose preoccupazioni familiari.

Ricordo che ero talmente stremata, da dimenticare persino i nomi dei miei alunni. Non riuscivo a trovare la concentrazione giusta durante il lavoro, ero al limite di una depressione fisico – mentale e dulcis in fundo mi ammalai pure di bronchite, finendo forzatamente in riposo medico. Durante quella temporanea mia assenza successe un putiferio e l’accanimento contro di me aumentò a dismisura. Si mise in atto un dannoso complotto incitato dal sospetto che mi fossi messa in malattia senza necessità e magari per puro capriccio. Ma io mi chiedo: “Perché certa gente è sempre pronta ad additare malevolmente il prossimo e non si occupa invece dei propri affari?”

Nel frattempo la collega “che mi piace chiamare arpia” era riuscita a plagiare altre insegnanti, inventando gravose calunnie, riuscendo anche ad aizzare maggiormente il Dirigente affinché potesse moralmente distruggermi, cosicché questo riuscì a coinvolgere persino la psicologa che lavorava presso quella scuola, facendole firmare una falsa dichiarazione nei miei confronti, costituente le prove del mio presunto inadempimento alle regole scolastiche e calunnie varie. Al mio rientro percepii strani sguardi pieni di diffidenza, mentre al più presto il dirigente mi consegnò una lettera di addebito disciplinare a rischio di farmi perdere metà dello stipendio, senza parlare ovviamente del danno morale che avrei subito. La lessi a casa e fu per me una doccia fredda. Mi sentivo afflitta, avvilita e disgustata. Non sapevo “un attimo prima” sino a che punto potesse arrivare la cattiveria umana.

Mi sentivo super controllata da quello spregevole preside che, con aria inquisitoria, mi convocava spesso nel suo ufficio per sottopormi ad interrogatorio, pretendendo di sapere come procedesse il mio lavoro, ecc. Una mattina in cui fui convocata dal dirigente, nel suo ufficio, mi venne voglia di dirgli a chiare lettere cosa pensavo in particolare sul suo conto, però a stento mi trattenni, anche perché ero certa che sarebbe andato su tutte le furie. Ebbi pertanto una felice idea e colsi l’occasione propizia per mettere in atto il mio piano: una mattina, proprio il preside, mi seguì in aula di sostegno per assistere ad una lezione che avrei dovuto svolgere con uno degli alunni che mi erano stati affidati.

Il ragazzo doveva eseguire degli esercizi di analisi logica, inventando delle frasi, un po’ lui e in po’ io, in modo che potesse trovare il soggetto, il predicato verbale e i vari complementi. Mentre il preside assisteva incuriosito e dubbioso ebbi il coraggio e la prontezza di dettare all'alunno la seguente frase: “Il dirigente si diverte a mettere in difficoltà una docente. “Adesso fai l'analisi logica” gli dissi. Il ragazzo si mise all’opera senza capire il significato. Osservai il preside in volto e mi accorsi di averlo messo a disagio, era fremente di rabbia, ma non ebbe il coraggio di ribattere, datosi che il contesto non era quello giusto.

Mi ero tolta una piccola ma significativa soddisfazione, gli avevo fatto capire che avevo scoperto il suo sporco gioco. Come se non bastasse il segnale che gli avevo dato, tutte le volte che portavo l'alunno in aula di sostegno, il dirigente mi seguiva e si appostava di nascosto davanti alla porta per ascoltare la lezione. Non immaginava che mi ero accorta della sua presenza. Ero talmente stressata che se non fosse stato per i miei alunni che mi davano soddisfazioni e che mi stimavano, molto probabilmente mi sarei messa seriamente in malattia, perché al tanto mobbing non reggevo più.

Fortunatamente la faccenda si concluse benissimo: il sindacalista della UIL, legale mio difensore, sconcertato pur esso da tanta assurdità e da tanto gratuito morale linciaggio, all’incontro col preside, smontò di sana pianta le accuse infondate nei miei riguardi. Non dimenticherò l’incontro cruciale e l’imbarazzo del Dirigente, che di fronte a noi non aprì bocca. Era mortificato, ma non ebbe nemmeno il coraggio di scusarsi. Era sconfitto ed in seguito fu richiamato dal Provveditorato dove dovette ritirare le accuse attraverso una lettera richiesta dal legale. Il Dirigente, molto debole di carattere, in realtà era stato manovrato da quella collega malvagia di cui ho già parlato. Alla luce dell’esperienza maturata, devo ammettere che una persona stupida può diventare anche cattiva e quindi…mai fidarsi degli stupidi!

Ho tuttora un rimorso per non avere sporto denuncia, soprattutto nei confronti della psicologa che pur senza conoscermi, aveva avuto il coraggio di testimoniare il falso. Non denunciai il dirigente per mobbing, anche perché legalmente non è facile trovare i testimoni pronti a testimoniare e questo per la solita omertosa paura di ritorsioni. Non denunciai nemmeno la stupida psicologa, corrotta, che avrebbe meritato anch’essa una bella lezione. A parte il mobbing, purtroppo molto diffuso negli ambienti di lavoro, devo affermare con grave amarezza che nelle scuole vari Dirigenti commettono l’errore madornale di non sapersi assumere le proprie responsabilità. Anche questo è un atteggiamento che li accomuna dinanzi a problematiche disciplinari – scolastiche, dove troppo spesso fanno costoro orecchie da mercante, sperando che la ferita si rimargini col tempo e senza l’uso del bisturi.

Un caso sconcertante si verificò proprio con lo stesso dirigente di cui ho appena parlato. Io stessa assistei ad una scena incredibile: un ragazzo di terza media, dall’aspetto molto possente alzò le mani contro il preside, solo perché aveva osato rimproverarlo perché era sempre in giro. Tali dirigenti, a mio avviso falliti, lasciano correre tutto, anche dinanzi ai più gravi episodi di bullismo, non sanno o non vogliono assumersi le proprie responsabilità. Detto preside non adottò nessun provvedimento nei confronti del ragazzo. È perciò tristemente scontato che, crescendo, dei giovani così antisociali e prepotenti arriveranno a superare i limiti consentiti dalla legge e finiranno male.

Dall’alto dei loro sgabelli “tali manager” si permettono di contestare quei docenti che a loro avviso non sono in grado di gestire le classi e ancor più grave è quando si arrogano l’ardire di perseguitare inermi insegnati, magari al fine di soddisfare il capriccio del docente di turno entrato nelle grazie.

QUANDO I DIRIGENTI NON SVOLGONO IL PROPRIO LAVORO

Un giorno, in una Scuola dove avevo preso servizio, preparai una lettera indirizzata ai genitori di una classe di prima media, in cui evidenziavo la condotta di certi ragazzini sfrenati che non ascoltavano la spiegazione e avevano avuto pure il coraggio di rinfacciarmi che i loro genitori si lamentavano di me perché assegnavo i compiti di storia dell’arte senza avere spiegato. Che bel coraggio! Lo avevo fatto solo un paio di volte, per far capire ai miei alunni l’importanza del silenzio e del rispetto delle regole, perché se tutti si mettessero a parlare, è ovvio che m’impedirebbero di fare lezione e così decisi di assegnare loro degli argomenti, appositamente senza avere spiegato. Sarebbe stato un forte segnale da parte mia, una bella lezione, per far capire l’importanza dell’ascolto e della disciplina in classe. I risultati furono fallimentari. I ragazzini infatti raccontarono ai genitori parte della verità, piuttosto che raccontarla tutta ed addossandomi ovviamente colpe che non avevo, mettendomi in cattiva luce.

Ebbene, prima di consegnare copia della lettera di chiarimento e di puntualizzazione agli alunni di quella classe, ritenni opportuno informarne il Dirigente ed ebbi con lui un colloquio nel suo ufficio, ma questo, dopo aver letto la lettera, anziché sostenermi, iniziò ad accusarmi di non riuscire a gestire la classe, fino ad impedirmi di consegnare la lettera alle famiglie, dicendomi che a suo avviso rischiavo di fare una brutta figura con i genitori. Vane furono le mie spiegazioni perché potessi convincerlo che stava sbagliando, ma niente da fare. Sta di fatto che nelle altre classi non incontravo gli stessi problemi, anzi, lavoravo benissimo.

Fu a causa di quella presa di posizione che da quel giorno la classe peggiorò la condotta, anche perché si fecero forti, sostenuti che furono dai genitori. Presero a mancarmi di rispetto: sia gli alunni, sia il Dirigente che mi aveva impedito di far recapitare la lettera con la quale chiarire e redimere la questione. È capibile quanto danno possono fare certi adulti e specialmente i responsabili di Istituto?

Se spesso i ragazzi si rivoltano verso gli insegnanti, non è solo colpa dei genitori che non incutono loro la dovuta educazione, difendendoli a spada tratta, ma è anche colpa dei Dirigenti che spesso non danno ai fatti l’importanza dovuta e quindi non creano i presupposti per far rispettare i docenti che, tra l’altro, per diritto legislativo, in esercizio delle loro funzioni assumono la qualifica di pubblici ufficiali. Ricordo le tante lettere che protocollavo in segreteria, mettendo per iscritto gli accadimenti e i problemi che insorgevano nella classe, anche per esortare il responsabile a prendere provvedimenti, ma questi faceva orecchie da mercante, ignorando il tutto. Poi mi telefonava a casa, cercando di raggirarmi, prendendomi per i fondelli, cercando di spostare il problema e di farmi sentire in colpa per certi problemi inesistenti.

Ricordo che in classe c’era un ragazzino molto violento e ipercinetico che avrebbe dovuto essere affiancato da un insegnante di sostegno che però non arrivò mai. Questo alunno era la disperazione di tutta la scuola, impediva di far svolgere la lezione e il dirigente pretendeva che io insegnante di Arte, potessi non solo gestire l’intera classe, già difficile di per sé, ma avrei dovuto garantire che l’alunno problematico non creasse problemi agli altri. Un giorno per telefono gli dissi chiaramente di assumersi le proprie responsabilità e quindi di provvedere per un insegnante di sostegno che affiancasse il ragazzo problematico, ma il Preside, tergiversando, spostava il problema, non affrontando mai l’argomento.

Non aveva il coraggio di rispondere alle lettere protocollate, perché essendo diventate atti d' ufficio, temeva di compromettersi, per cui non si rassegnava e continuava a telefonarmi a casa, ma quando lo misi dinanzi all’evidenza, esortandolo a rispondermi per iscritto, notai che tentava ancora di raggirarmi. Un giorno persi la pazienza e sgarbatamente chiusi il telefono. Finalmente il Preside capì che doveva lasciarmi in pace. Da quel momento non mi importunò più. Evidentemente ero per lui una scomoda insegnante. Quel preside aveva la fama di essere troppo amorfo, uso “come Pilato” a lavarsi le mani dinanzi ai problemi, evitando le eventuali rogne. In seguito seppi che proprio per il suo modo di fare, aveva danneggiato parecchi docenti e bidelli.

Ma come può funzionare la Scuola se tanti capi non fanno il proprio dovere? Non si preoccupano delle reali problematiche, non tutelano i diritti dei docenti, non sanzionano punizioni per gli alunni balordi, commettono omissioni ed arrivano a perseguitare i docenti più tranquilli e innocui e che non fanno parte della cerchia dei simpatici. Guarda caso i docenti presi di mira, sono sempre i più corretti e coscienziosi. Tale categoria di presidi aizza le guerre contro gl’incolpevoli e non contro coloro che invece provocano seri danni.

Mi sento testimone di fatti molto incresciosi, come d’insegnanti che terrorizzano alunni con frettolose e inopportune diagnosi, mentre avrebbero invece bisogno di essere trattati con dolcezza, quando paradossalmente, vengono lasciati impuniti ragazzi maleducati o addirittura balordi. L’anno successivo a quello ultimo preso in esame, fui chiamata dalla stessa scuola per un incarico annuale, in qualità di insegnante di sostegno, ma data l’esperienza passata, senza esitare, rifiutai. Non ero più intenzionata infatti a lavorare in una scuola dove c’era un preside inetto che creava altro non faceva che creare problemi. Nello stesso anno accettai l’incarico annuale presso un’altra scuola, dove mi trovai benissimo.

IL DANNO DI UNA PSICOLOGA PLAGIATA

Presi servizio nella nuova scuola e non dimenticherò purtroppo la figura di una Dirigente, molto insicura che come tante altre seguiva l’onda. Ebbene, il caso volle che in questo istituto operava una psicologa, la stessa che avevo conosciuto anni addietro nella scuola in cui avevo subito mobbing. Era una delle persone “plagiate”, in quanto il preside di cui ho già parlato, era lo stesso che era stato picchiato da un alunno e che nonostante le sue debolezze era riuscito a inculcarle un’opinione negativa nei miei confronti. Così, la psicologa raccontò velocemente alla Dirigente che in passato avevo creato dei problemi nella scuola dove lavoravo. Certamente però la stessa delatrice non aveva mai conosciuto la reale versione dei fatti. Il dirigente infatti aveva dovuto ritirare le accuse (basate sulle calunnie) nei miei confronti. Ovviamente per non fare una brutta figura, questo non avrà raccontato la verità, facendo risultare che fossi un’insegnante incapace e fuori regole scolastiche.

Morale: a causa delle maldicenze di tale psicologa, la Dirigente, senza nemmeno conoscermi, mi prese di mira e senza motivazioni, iniziò a perseguitarmi. Del tanto ne ebbi la prova quando all’inizio dell’anno scolastico la preside mi riferì di essere al corrente dei problemi da me creati in altre scuole. Naturalmente negai spiegandole che ero stata parte lesa in quelle situazioni, non ci fu nulla da fare e non volle sentire spiegazioni.

Come si era permessa di accusarmi di fatti che non conosceva? Si era comunque fatta una falsa idea sul mio conto, ovvero, aveva anch’essa subito plagio. Anche questa dirigente, dovendo stare dalla parte dei più forti, come è consuetudine per la maggior parte di coloro che stanno al potere, vantava ormai dei pregiudizi nei miei confronti. Per dirla in breve, la catena continua anello dopo anello e se non è munita di appropriato carattere, la vittima designata non esce più. Per me fu l’ennesima umiliazione e mi venne spontaneo pensare: “Quanta ignoranza e cattiveria gratuita! Ovviamente una persona del genere non merita stima. Quanti danni mi hanno procurato le tante calunnie diffamatorie!” Il lettore si chiederà: “Come mai io possa dare per scontato che il movente sia stata proprio la psicologa?” Rispondo:

Semplicissimo. Ammettiamo che trattasi di pura coincidenza il fatto che io e lei c’eravamo già conosciute alcuni anni prima, nella stessa scuola dove subii mobbing, ma come si spiega il fatto che la psicologa mi riportò una frase che io stessa avevo pronunciato anni addietro e poi la stessa frase mi fu riportata dalla nuova dirigente? La dirigente…come avrebbe potuto esserne a conoscenza? Evidentemente la psicologa aveva messo a conoscenza la preside di un episodio davvero insignificante, travisandone il significato, con la probabile finalità di farmi risultare un’incapace.

Ecco la frase che entrambe utilizzarono contro di me: “Non ricordo il nome dell’alunno di cui intendo parlare”. Anni addietro, nella scuola dove lavoravo, c’era l’incontro con la psicologa e con i genitori di uno degli alunni che affiancavo come insegnante di sostegno, per la discussione del PEI. Ebbene, in quel momento feci un po’ di confusione, perché pensavo che la discussione riguardasse il PEI dell’altro alunno, mentre in realtà l’altro incontro sarebbe avvenuto in successiva occasione. Ma cosa era successo di così trascendentale, se per un attimo avevo fatto confusione? Non dimenticherò la faccia della psicologa quando mi vide cadere dalle nuvole…e non me la perdonò! Tra l’altro non sapeva nemmeno che in quel periodo ero molto stressata proprio a causa del mobbing in atto ed era perciò normale che qualcosa mi sfuggisse. Del resto noi esseri umani non siamo dei robot e come esseri umani riusciamo pertanto a comportarci.

Come volevasi dimostrare, anche questa dirigente prese a convocarmi nel suo ufficio, dicendomi che correva voce che assegnavo alla ragazza dei compiti troppo difficili. Non era vero assolutamente, il mio compito era quello di semplificare il più possibile gli argomenti, tanto più che il livello dell’alunna a me assegnata era molto basso. Cercai di discolparmi, anche perché essendo l’insegnante di sostegno, avrei dovuto certamente semplificare il lavoro con l’alunna che seguivo! Nonostante ciò, la preside, essendo diffidente, non volle credermi. Secondo lei assegnavo all’allieva dei compiti al di sopra del suo livello. Si basava ovviamente sui pettegolezzi e sui pregiudizi di qualcuno e soprattutto perché i genitori adottivi dell’alunna che seguivo, erano molto ansiosi. Tra l’altro la bambina non parlava bene la lingua italiana, essendo argentina e era arrivata da poco tempo in Italia.

La Dirigente continuava a fare insinuazioni, come se io mi volessi ostinare ad assegnarle dei compiti troppo difficili e quando la invitai a verificare, attraverso i quaderni, si rifiutò di approfondire, ma allora perché non mi lasciava in pace? Per quale motivo si lamentava se l’alunna prendeva voti superiori alla sufficienza o se non avevo problemi con lei? Nessuno si lamentava del suo profitto, nemmeno i genitori!... Qualcosa non quadrava.

IL VERBALE CONTESTATO

Durante l’incontro della discussione del PEI, mi permisi di scrivere il verbale in maniera piuttosto informale, avendo fatto delle considerazioni personali sulle metodologie da attuare o meglio, avevo scritto che a mio avviso era giusto che l’alunna da me seguita, avrebbe dovuto imparare a leggere l’orologio con le lancette, poiché a mio avviso sarebbe stato un esercizio con cui imparare la matematica e così facendo avrebbe acquisito maggiormente il senso della misura e del tempo. Siccome durante la discussione con i genitori, la preside e l’educatrice, non lo ritenevano opportuno in quanto secondo loro la bambina non ci sarebbe arrivata, si giunse alla conclusione che l’alunna avrebbe dovuto leggere soltanto l’orologio digitale, per evitarle uno stress.

Per carità!... io non mi permisi di far prevalere a tutti i costi la mia opinione e quindi in quel contesto acconsentii alla loro opinione, ma nel momento in cui stilai il verbale, ritenni opportuno, per correttezza, riportare per iscritto la discussione avvenuta nei dettagli e quindi esternare il mio personale punto di vista. Adesso mi chiedo: Se nel verbale si fa obbligo del dichiarare tutto ciò che si è detto e che si è concordato, cosa c’è di male o di terribile se io scrivo il mio resoconto in merito? Evidentemente la dirigente trovò insignificante quella frase, a suo avviso fuori luogo, probabilmente non sopportò la mia presupposta autonomia. Sta di fatto che quel verbale lo usò come arma per puntarmela contro!

Dopo averle consegnato il verbale, la preside s’infuriò, mi convocò e mi contestò in malo modo il tale operato. A quel punto, visto che a mio avviso stava dicendo una stupidata, senza pensarci due volte replicai: “Mi scusi, non era mia intenzione offenderla, non immaginavo che il contenuto di questo verbale potesse essere così dannoso, perciò me lo restituisca, così lo strappo subito e lo cestino! Non voglio assolutamente entrare in contrasto con lei! Lo rifarò daccapo e magari come lei desidera…!”

Non mi fossi mai permessa! Si infuriò maggiormente e con tanta rabbia mi disse: “No! Adesso questo lo tengo io! Dovrò decidere cosa farne!” Non dimenticherò quanta cattiveria percepii in quella donna, se avesse potuto mi avrebbe distrutto ed ovviamente ne seguì una vera sorta di persecuzione. E pensare…tanto rumore per un insignificante verbale! Durante le mie meditazioni penso: “Perché certi dirigenti si appigliano a dei cavilli, nutrendo odio verso dei docenti che non hanno fatto nulla di male? Perché riescono a giudicare e penalizzare una persona, spinti che sono da pregiudizi preventivi? Probabilmente vorrebbero farli sembrare dei burattini con preordinati comportamenti a loro stessi graditi. Perché non si occupano delle reali problematiche della scuola? Perché s’infastidiscono per un nonnulla, arrivando anche a nutrire sentimenti di vendetta nei confronti di persone che hanno il coraggio di pensare con la propria testa?

Dal momento che ho raccontato, la preside tramò evidentemente qualcosa pur di danneggiarmi e infatti quando arrivò il momento di consegnare il PEI, non ci fu occasione migliore per non lasciarmi più in pace: il PEI non le andava bene. Me lo fece correggere almeno quattro volte, perché a suo avviso era incompleto. Io che in passato non avevo mai avuto problemi del genere ed avevo già una certa esperienza nel produrre il PEI. Che alla lettera significa Piano Educativo Individualizzato, non potevo ingoiare tanto facilmente. Quando arrivai all’esasperazione, misi per iscritto e protocollai poche parole, con cui asserivo di non essere più in grado di consegnare il PEI perché avevo paura di sbagliare. Avvertivo l’ansia che mi pervadeva, mentre intanto aspettavo le sue precise direttive, dato che sosteneva che non era ancora completo, ma non sapeva darmene una ragione.

Ebbene, probabilmente quella dirigente era arrivata al suo scopo: il PEI era solo un pretesto, infatti quando scadde il termine per la consegna, non esitò a consegnarmi una lettera di addebito disciplinare, con cui mi addossava la colpa di non aver consegnato il documento entro la data stabilita e di non essere stata capace di scrivere il verbale che aveva scatenato sua ira. Anche questa volta ci fu per me una doccia fredda e così dovetti chiedere di nuovo aiuto al sindacalista della UIL. Nella lettera che il legale stilò, si invitava la dirigente a ritirare le accuse verso la mia persona e che diversamente avrei avuto la possibilità di adire a vie legali entro il termine di due anni.

La Dirigente, anche se palesemente preoccupata, obbediva alla sua superbia, tanto che non si rassegnò a ritirare le accuse contro di me. Alla fine dell’anno scolastico, mese di luglio, il giorno prima che partissi per le vacanze estive, mi telefonò, raccontandomi una menzogna: i genitori dell’alunna di cui mi occupavo, a sua detta, le avevano consegnato una lettera in cui si lamentavano di me e quindi mi sarei dovuta presentare presso il suo ufficio per ritirarla e parlarne.

Ovviamente capì all’istante che si trattava di un’imbastitura, onde potermi catturare nella sua “tana”. Innanzitutto avevo avuto sempre avuto ottimi rapporti con quei genitori e se fosse esistita la lettera, possibile che l’avrebbero consegnata alla Dirigente proprio nel mese di Luglio, ovvero, quando la scuola era già finita da un pezzo? E di che cosa avrebbero dovuto rendermi edotta? Che razza di trattamento stavo subendo, io che ero sempre stata un’insegnante paziente, comprensiva e premurosa nei confronti di tutti gli alunni, specialmente dei più disagiati?

In un primo momento la misi alla prova con queste parole: “Mi scusi, Dirigente, sono in procinto di partire, me la mandi pure via email”. Lei incominciò a gridare, accusando di mancarle di rispetto. Al punto aggiunsi: “Passerò domani mattina e la prenderò, la lasci pure in segreteria, ma mi deve scusare se non potrò incontrarla personalmente, perché sarò di fretta, tanto più che sto partendo per le vacanze”. La Dirigente, sentendosi snobbata, si infuriò ancora di più, probabilmente perché non le avevo dato troppa importanza. Era stata ferita nel suo orgoglio e infine disse urlando: “Ho bisogno di parlare con lei!”

A quel punto replicai: “Ha visto signora Preside che era come immaginavo? Sta dando i numeri? Non esiste alcuna lettera dei genitori! E adesso mi lasci in pace! Io e lei non abbiamo più nulla da dirci. Non l’ha ancora capito? Non le è bastato tutto quello che mi ha combinato quest’anno e la persecuzione che ho dovuto subire da lei? Adesso ha pure il coraggio di inventare bugie e di importunarmi ancora?!” Questa sempre più agitata e furibonda attaccò il telefono. Evidentemente non esisteva nessuna lettera di lamentela, altrimenti me l’avrebbe fatta pervenire sicuramente in qualche modo.

Il suo era solo un pretesto perché aveva bisogno di parlare con me per sondare se fossi ancora intenzionata a sporgere denuncia contro di lei, dato che nella lettera che aveva ricevuto dal sindacalista, si comunicava che se la dirigente non avesse ritirato le sue accuse, la docente (sottoscritta) in qualità di parte offesa avrebbe potuto agire entro il termine di due anni. Ma lei, essendo così ostinata, non ritirò le accuse. Se l’avesse fatto, l’avrebbe comunicato direttamente all’avvocato della UIL che io avevo consultato.

Per conto mio, data la testardaggine e perfidia, meritava la preside di vivere con l’ansia e con tutta la sua preoccupazione, essendo stata lei stessa l’artefice di tutto, tanto più che non aveva dato alcun segno di ravvedimento. Sarebbe bastato infatti che avesse fatto un passo indietro e tutto si sarebbe risolto… cosa che non fece. Anche da quest’ultima spiacevole esperienza, si può notare come la dirigente abbia dato credibilità ad una persona inaffidabile, come la psicologa (conosciuta in altra scuola) dallo stesso dirigente che aveva esercitato mobbing su di me, anni addietro e a sua volta, questa stessa era stata capace di plagiare la preside.

Sembra quindi che sia un’abitudine quella di divertirsi a perseguitare la gente con cattiverie che a volte superano l’immaginazione. Non volli procedere legalmente, perché secondo il sindacalista e l’avvocato si sarebbe corso il rischio di non approdare a niente, con probabile spreco di energia stress e denaro. La giustizia, purtroppo non è sempre uguale per tutti, come dovrebbe invece essere nella realtà.

QUANDO LA CONVINZIONE E L’IGNORANZA SUPERANO IL BUON SENSO

Da un po’ di tempo ricevevo un avviso da parte di una scuola che voleva propormi per un incarico annuale, sempre di sostegno. Chiesi gentilmente di parlare con la dirigente, alla quale dissi che sarei stata disposta ad accettare la supplenza, ma a condizione di essere messa a conoscenza dei casi di cui mi sarei dovuta occupare, datosi per certo che ne esistono anche di molto difficili a gestirsi. In parole povere, il sostegno può essere concesso per quanto riguarda la sfera fisica o mentale e comunque, per una questione di correttezza ritenevo opportuno essere informata. La preside, a quella richiesta, con tono altezzoso e di superiorità mi disse che non era disposta a comunicarmelo, in quanto l’insegnante di sostegno è obbligato comunque ad accettare l’incarico, a prescindere dalla gravità del soggetto in affidamento.

La stessa non si rendeva conto di essere in manifesto errore e che non tutti gli insegnanti di sostegno sono all’altezza di occuparsi dei casi talvolta molto difficili, mancando costoro “magari” della indispensabile competenza. Va detto inoltre che relazionarsi con soggetti autistici (fisici o mentali) non è sempre facile, ma richiede competenze didattiche cliniche e talvolta anche forza fisica, cosa che in genere una donna non possiede. Nonostante cercassi di spiegarle la motivazione della mia pretesa, questa fu irremovibile e mi disse pure che lo avrebbe fatto solo dopo che io avessi firmato il contratto di accettazione. In pratica sarebbe stato come comprare a scatola chiusa senza sapere cosa contenesse.

Sempre con tono presuntuoso e altezzoso si giustificava affermando che non poteva darmi assolutamente informazioni in merito, per una questione di privacy, ma in verità la privacy non c’entrava nulla perché non le avevo chiesto i nomi degli alunni. Si noti tra l’altro l’ignoranza di questa donna! Avendo io intuito che la trappola era pronta, non accettai e così risposi alla sua email: “Gent. Dirigente, avendo intuito che si tratta di un caso molto difficile, non accetto l’incarico. Distinti saluti”.

Forse avrei dovuto evitare quella frase quasi provocatoria, ma il mio intento era però quello di farle capire che il suo atteggiamento non era stato affatto corretto, ma esagerato e improprio. A mio avviso, nel trattare simili argomenti occorrerebbe maggiore onestà e ponderatezza, proprio per non rischiare di avere problemi in futuro, dinanzi ad eventuali casi estremamente difficili. Non era una questione di preferenze da parte mia, come la preside voleva sottolineare, ma di scrupolosità, responsabilità che bisogna assumersi nel momento in cui si accetta un lavoro così delicato, dovendo operare con soggetti dalle diverse problematiche, più o meno gravi e non con degli oggetti. Per questo motivo occorrono competenze specifiche che tutti non posseggono. La bizzarra dirigente, purtroppo me la ritrovai l’anno successivo nella stessa scuola dove accettai l’incarico annuale e guarda caso mi creò dei grossi ostacoli. Probabilmente non mi aveva preso molto in simpatia, a causa di quella insolita risposta che le inviai tramite email.

LA SOBILLATRICE E LA MADRE GELOSA

È arrivato il momento di raccontare pubblicamente ciò che ho vissuto: una sorta di incubo che non potrò mai dimenticare, perché certe esperienze lasciano un segno per tutta la vita, soprattutto alle persone sensibili e buone. Per una questione di privacy, ovviamente non oserò nominare le persone interessate, né tanto meno il luogo e la scuola dove si svolse la squallida vicenda. Il mio intento non è tanto quello di dare estro al mio sfogo personale, quanto di mettere in evidenza la cattiveria e la stupidità umana e fino a che punto si possa arrivare. In linea di massima, sono le donne responsabili di certi malsani comportamenti sociali, specie dopo avere ottenuto incarichi di privilegio, ovvero, quando arrivano a insuperbirsi sino a pretendere di poter dettare legge nel bene e nel male.

Generalmente si tratta di persone frustrate, paranoiche, senza talento e che vivono soltanto per il lavoro, con l’unica finalità di distruggere i dipendenti ed affermare la propria supremazia a discapito non solo del personale, ma anche degli alunni. Cercherò di riportare qui di seguito il più fedelmente possibile la mia storia. Alcuni anni fa, ero ancora precaria, ebbi una proposta per un incarico annuale. Prima di accettare il lavoro, ero molto titubante perché sapevo che il ragazzino che mi era stato assegnato, avendolo conosciuto un anno prima, era difficile da trattare: era di aspetto possente, era dotato di spiccata intelligenza, ma era anche irascibile e in certi casi violento, quindi non necessitava tanto di un supporto didattico quanto psicologico. Non dichiarere la sua diagnosi, ma descriverò le sue principali caratteristiche, tanto per lasciare capire ai lettori quale tipi di interventi e quali modalità sarebbero stato opportuno adottare.

Lo chiamerò P. Aveva problemi di relazione, comportamento molto infantile, tendeva ad amplificare le sue emozioni, sia positive che negative, aveva una percezione della realtà fortemente alterata. Era ipercinetico, ipersensibile, buono d’animo, ma diventava violento per niente e andava in crisi se veniva rimproverato. Davvero difficile relazionarsi con lui, ma una volta scoperti i suoi punti deboli, bastava assecondarlo (entro i limiti) per evitare il peggio e soprattutto perché non andasse in escandescenza come spesso accadeva. Ebbene, fatta questa premessa, dopo essere stata rassicurata dai colleghi che unanimemente mi raccomandavano di stare tranquilla e che sarei riuscita a gestirlo. “Vedrai – dicevano - che se lo porti fuori della classe tutte le volte che si agiterà, non avrai problemi con lui”. Accettai il consiglio ed intrapresi l’ onerosa impresa.

In effetti, se all’inizio ero in ansia per paura che P. potesse alzare le mani contro qualche suo compagno, (come era già avvenuto in passato quando era seguito da un’altra insegnante) posso affermare di aver lavorato benissimo con lui almeno nei primi mesi. Bastava poco per tranquillizzarlo, datosi che diventava aggressivo per niente, impedendo agli insegnanti di tenere la lezione. Tra l’altro P. aveva delle manie di persecuzione, credeva di esser trattato male dai suoi compagni e lamentava il fatto di non avere amici. A mio avviso c’erano i presupposti per un aggravamento nel tempo, in quanto la sua problematicità caratteriale rischiava di sfociare in una vera e propria patologia ben più grave, ma forse era solo una mia impressione.

P. si affezionò a me, perché riuscivo a prenderlo per il verso giusto, dato che aveva bisogno di particolari attenzioni, di alimentare la sua autostima, quindi lo ascoltavo molto, anche e i suoi discorsi erano spesso paranoici (mi “sacrificavo”, ma faceva parte del mio lavoro) e quando restavo in classe con lui, non facevo altro che ascoltare l’insegnante di classe che spiegava la lezione e mi assicuravo che P. seguisse e svolgesse gli esercizi. Sicuramente per me era molto più comodo restare in classe, perché non facevo alcuna fatica, mentre quando lo portavo in aula di sostegno (tutte le volte che ci fosse stata la necessità) dovevo mettere in atto la mia strategia per farlo calmare: lo ascoltavo molto e gli parlavo in modo persuasivo, cercando di rassicurarlo soprattutto quando usava un atteggiamento vittimistico.

Gli permettevo di camminare attorno al grande tavolo e a volte camminavo anch’io appresso a lui, senza obbligarlo a farlo rientrare in classe, qualora continuasse a mostrare segni di agitazione. Si sentiva gratificato perché lo facevo sentire importante. Notavo che tante mie colleghe si relazionavano con lui nel modo più sbagliato, perché ogni qualvolta che interveniva in classe in modo impertinente o facendo delle battute fuori luogo, lo sgridavano in malo modo, soprattutto due docenti in particolare lo terrorizzavano. Mi chiedo allora che senso possa avere se alunni con problematicità simili, hanno un PEI, hanno affiancato un educatore, oltre alla figura dell’insegnante di sostegno e i docenti, compreso il dirigente, fingendo di preoccuparsi per loro e di tutelarli, se poi vengono trattati con meno riguardo rispetto agli altri. Questo pensiero mi sconcertava.

Purtroppo (lo dovetti constatare in varie occasioni) i dirigenti meno coscienziosi si preoccupavano soltanto di soddisfare in modo irreprensibile la parte burocratica, come la compilazione del registro e del relativo PEI, senza verificare se il lavoro degli insegnanti, stesse proseguendo per il verso giusto, affinché venissero tutelati tutti gli alunni. A parte una mia collega (molto docile) che sapeva relazionarsi molto bene con P. ero una delle poche insegnanti che lo trattava con molta gentilezza, non solo perché ho l’innata sensibilità d’animo, ma perché il buon senso mi suggerisce che tutti gli alunni andrebbero trattati in modo garbato ed a maggior ragione i ragazzi più fragili.

Col tempo diventai per lui come una seconda psicologa che lo seguiva e addirittura mi confidò delle cose che a lei nascondeva: la convinzione di non sentirsi amato dalla sua famiglia. Cercai di fargli capire che era solo frutto della sua immaginazione e che non era giusto nascondere i propri pensieri e impressioni alla psicologa, altrimenti questa non avrebbe potuto aiutarlo. P. non si sentiva ben voluto dai suoi genitori, probabilmente alterava la realtà, credendo che fossero cattivi. Cercai di fargli capire che quelle convinzioni non corrispondevano a verità, ma che erano soltanto delle idee contorte. A differenza dell’educatore che lo trattava come una bestia da domare, come se P. non avesse problemi, durante le sue ore d’insegnamento assistevo a delle scene terrificanti: l’educatore faceva imbestialire P… perché anziché cercare di contenere il suo comportamento esagerato, quasi lo provocava, mettendo il dito sulla piaga e così P. piangeva e urlava spesso.

Ebbene, già l’educatore (un giovane davvero incompetente) mi guardava male, perché confrontava il mio approccio con l’alunno con quello suo, che era del tutto all’ opposto. Un giorno venni convocata dalla preside, insieme ad una mia collega, in quanto una sua collaboratrice le aveva riferito delle calunnie che gravavano sul mio conto…ovvero che non collaboravo con i miei colleghi e che facevo sempre uscire P dalla classe, portandolo in aula di sostegno e quindi facendogli perdere ore destinate alla didattica. Guarda caso, tutte le volte che lo faceva uscire l’educatore, il problema non si poneva affatto.

Per me fu una doccia fredda e mi sentii sprofondare, quando osservai lo sguardo di ghiaccio della dirigente che mi accusò con tanto astio di situazioni che non mi appartenevano, in quanto a suo avviso dava per scontato che le calunnie riportate dalla collega fossero Vangelo. Aveva mentito inoltre, affermando che di tanto si lamentavano anche i genitori dei due alunni di cui mi occupavo, invece proprio due giorni prima, avevo avuto un incontro con loro e tutto sembrava andasse a gonfie vele. Mi preme puntualizzare che prima di allora non avevo mai avuto un diverbio né coi colleghi, né coi genitori. Con i miei colleghi tra l’altro continuavo ad avere un rapporto abbastanza sereno, cercavo e cerco tuttora di essere collaborativa con tutti. Evidentemente in quella situazione c’era qualcosa che non quadrava!

La dirigente continuava a colpevolizzarmi, affermando che io ero troppo materna con l’alunno e che avrei dovuto essere più professionale. Infine mi disse che se non avessi cambiato metodo, ovvero se avessi continuato a portare fuori dall’aula l’alunno (come se fosse un mio capriccio) lei avrebbe preso dei seri provvedimenti e addirittura pronunciò questa frase: “Sua madre la potrebbe denunciare!” Per un attimo confesso di avere avuto l’impressione di trovarmi di fronte ad una persona visionaria. Sbigottita le risposi: “Ma si rende conto di quello che sta dicendo?” Rimasi esterrefatta e disgustata per tali accuse infondate, cercai di mantenere l’autocontrollo tentai di darle spiegazioni, cercando di difendermi e di spiegarle le mie motivazioni, ma lei si infuriò, intimando di starmi zitta e di prestare molta attenzione alle sue “raccomandazioni”.

Non ebbi altra scelta se non quella di tacere. Nel frattempo osservavo l’impassibilità della mia collega, seduta al mio fianco, il suo falso sorriso, come se nulla fosse e la paragonai a Giuda, visto che si era venduta ad un’altra collega della sua stessa pasta, guarda caso, anche lei collaboratrice della dirigente, la quale pur di non esporsi aveva architettato il complotto, servendosi di lei. Ma chi era la sobillatrice che aveva ordito la macchinazione e perché mai l’avrebbe fatto? Era una docente che: avendo ottenuto la carica di collaboratrice della preside, si sentiva autorizzata a umiliare le sue colleghe a piacimento, persino davanti agli alunni e soprattutto quelle che non le andavano a genio.

All’inizio dell’anno scolastico l’arrogante persona mi aveva trattata come se fossi stata un’alunna, mi aveva ripreso in malo modo come fossi stata una sua subordinata ed anche con toni acidi: “Cosa fai tu qui? Non dovresti essere in classe?” Non teneva minimamente conto, questa, che per me quella era un’ora libera e quando la informavo che avevo l’ora buca, dubitava delle mie parole e solo quando le mostravo l’orario, con aria sostenuta, si ammutoliva, ma non si scusava mai. Avevo sopportato per più volte i suoi rimproveri immotivati, quando ad un certo punto, mentre mi urlava in classe davanti agli alunni perché secondo lei mancavano dei dati su un verbale che avrei dovuto consegnarle, le risposi a tono, dicendole che doveva smetterla di usare certi atteggiamenti nei miei riguardi, tanto più che lei era una mia collega e che non ero quindi ulteriormente disposta ad essere umiliata, anche perché ero sempre stata gentilissima e quindi pretendevo la massima educazione e rispetto anche da parte sua.

Non l’avessi mai fatto!!! Non avrei dovuto osare e così… da quel momento in poi… prese ad usare finte gentilezze, mentre in realtà stava tramando. La vera vendetta da parte sua non era ancora arrivata. Questo episodio fu il movente dell’evoluzione dei fatti che si susseguirono. Allarmò la dirigente e la madre dell’alunno P, approfittando dell’educatore, essendo questi entrato nelle sue grazie ed essendo amico di famiglia dell’alunno stesso. Esistevano quindi tutte le condizioni per poter architettare un complotto contro di me, soprattutto perché sfruttò un episodio che adesso riporterò e che sarebbe stato l’ideale per poter raggiungere il suo obiettivo: una volta messa in cattiva luce, dovevo essere perseguitata dalla preside e dai suoi esecutori.

Era ormai guerra dichiarata, ma la cosa più abominevole era che questa prof, non si era mai esposta, cercava abilmente di nascondere le tracce. Il primo passo fu quello di corrompere l’amica collega (l’altra collaboratrice della preside sopra citata) ovvero colei che si era improvvisata “portavoce “, affinché la dirigente potesse convocarmi per accusarmi di colpe che non avevo commesso. In pratica la sua collega aveva riportato alla preside delle calunnie, spacciandole per lamentele, infatti non mi furono mai detti i nomi di questa gente. Un giorno P. ebbe una crisi di pianto, perché non avendo studiato, fece la verifica sbagliata. Me lo portai subito in aula di sostegno, cercando di calmarlo e di fargli capire che avrebbe recuperato e che non era una cosa così grave, ma lui non si calmava, mi disse che era molto preoccupato per la punizione che avrebbe ricevuto dai suoi genitori. Ad un certo punto, mi abbracciò dicendomi: “Prof, adottami! Adottami ti prego… adottami! I miei genitori non mi vogliono bene! Voglio che tu sia la mia mamma! Portami con te, ti prego! Loro non mi vogliono bene!” Continuava a singhiozzare. Mi commosse e capii quale fosse l’entità dei suoi problemi.

Cercai di rassicurarlo e di fargli capire che la sua proposta era del tutto fuori luogo e che aveva già una famiglia che lo amava. Tra i colleghi si era sparsa ormai la voce di questo strano episodio. Probabilmente l’alunno si era affezionato a me, ma era comprensibile, soprattutto perché capiva la differenza tra il mio atteggiamento e quello degli altri insegnanti, nonché del suo educatore, che lo trattavano in modo poco adeguato. La collega (sobillatrice) invece aveva usato quello strano episodio come arma per puntarmela addosso, essendo questa una persona perfida, interpretava in malafede l’inaspettata esternazione affettiva da parte del ragazzino, cercando di insinuare il male e mettendomi in cattiva luce, come se io volessi plagiare il ragazzo, come se io gli avessi proposto di adottarlo come figlio, minacciando la sua sfera affettiva e peggio ancora… come volessi entrare in competizione o sostituirmi alla madre! La mamma a questo punto era diventata gelosa di me. Incredibile!!!

Non a caso, da quel momento la preside ordinò a tutti i colleghi di impedirmi di portare fuori l’alunno, a prescindere dai suoi momenti critici ed ovviamente il mio lavoro diventò insostenibile. Ero obbligata a restare in classe con P. pure quando era molto agitato. In pratica, pur di rendere difficile il mio lavoro, se ne fregavano anche di lui, penalizzandolo, nonostante soffrisse sentendosi imprigionato. Non dimenticherò i momenti quasi da incubo. Sapevo che era stato tutto architettato, al solo scopo di perseguitarmi, servendosi dell’educatore, il quale fu invitato a scrivere una mail alla mamma dell’alunno, per poi inviarla alla dirigente, in modo tale che un domani la dirigente e la sobillatrice avrebbero potuto dimostrare l’insofferenza della madre.

La verità venne a galla quando mi rivolsi al sindacalista e all’avvocato che mi difese “quest’ultimo” in una seconda convocazione, dopo un mese dall’aver ricevuto da parte della preside, la lettera di sanzione disciplinare per aver trasgredito ai suoi ordini. Ebbene, arrivato il giorno della convocazione, la preside rimase spiazzata, perché non si aspettava che fossi accompagnata da un legale. Non immaginava che avessi predisposto già tutto sin dall’inizio, dopo essere stata da lei stessa minacciata. Non dimenticherò inoltre l’espressione del suo volto, quando vide il mio fascicolo (la difesa) poggiato sul tavolo e magari si aspettava che portassi a mia difesa un semplice foglio di carta.

Ne consegnai copia di ben tredici pagine e cominciai a leggere col giusto tono. Smontai tutte le accuse inconsistenti e non solo, avevo anche protocollato tutte le umiliazioni che avevo dovuto subire. Non dimenticherò la faccia della dirigente, era sconfitta e a disagio, non proferì parola e non seppe rispondere ad una domanda dell’avvocato, che la mise in difficoltà con questa frase: “Mi stupisco di Lei, dirigente: ma che coraggio ha avuto ad accanirsi contro la prof. che è una persona rispettabilissima e che porta avanti il suo lavoro in maniera decorosa? E poi, tra gli atti che le ho dovuto richiedere, mi lascia parecchio perplesso la email della madre dell’alunno in questione, che guarda caso, è stata scritta un mese dopo che lei ha convocato la mia assistita ovviamente per intimorirla, subito dopo che io come legale le ho chiesto gli atti. Come se lo spiega? Si vede evidentemente che la madre è stata pilotata e invitata a scrivere questa ridicola email, per poter costruire le prove! Tra l’altro, questa email a lei indirizzata, la trovo molto incongruente sia per il contenuto, sia per la forma: una parte è scritta sgrammaticata e l’altra parte è scritta in modo corretto”.

La dirigente non seppe rispondere, non fiatò e il suo sguardo agghiacciante adesso esprimeva tanta rabbia. Ecco l’ultima frase della mail della signora: “Mio figlio non deve più uscire dalla classe con la prof. di sostegno, perché è molto grave che P. debba preferire la sua prof. al mio posto. Non lo accetto! Sono molto preoccupata!” Il giorno successivo, pensando che dopo il successo con l’avvocato, la dirigente avesse gettato la spugna, tutto restò come prima, anzi, non solo la preside non ritirò le sue accuse, ma si accanì ulteriormente contro di me, probabilmente perché non aveva avuto soddisfazione e facendo oltretutto una pessima figura, infatti l’avvocato smontò quelle accuse come una bolla di sapone.

Da quel momento le mie colleghe mi stettero alle calcagna in modo spietato, impedendomi di poter lavorare e P. che soffriva in malo modo. Tutto questo per una questione di puntiglio da parte della dirigente che imperterrita perseverava nel suo errore diabolico, pur dinanzi all’evidenza dei fatti. Un giorno la collega più acida e accanita superò ogni limite: lasciò la classe scoperta per raggiungermi in aula di sostegno con l’alunno e mentre questo girava intorno al tavolo perché era stato colto da una delle sue crisi, ma si stava calmando, questa, furibonda, si mise a gridare, rivolgendosi a lui terrorizzandolo: “Perché sei ancora qui? Quando rientri in classe? Torna immediatamente!!!” Il ragazzino si mise a piangere e si agitò maggiormente, rispondendo: “No, non voglio andare in classe, voglio restare qui con la prof.!”

A quel punto l’insensibile e insolente professoressa, ignorando ancora la mia presenza, replicò: “Allora se proprio non vuoi rientrare in classe, esci da quest’aula, perché non puoi rimanere da solo con la prof.!!! Dovete restare in atrio, vicino alla bidella!” Mi sentii cadere le braccia e feci orecchie da mercante, non avrei potuto contrastare il mio alunno, essendo molto agitato, per cui ritenni opportuno non sottostare ai suoi spregiudicati ordini. Piuttosto avrei avuto l’istinto di schiaffeggiarla, ma dovetti mantenere la calma per non passare dalla parte del torto. La mia pazienza era arrivata però al limite. In pratica continuavo a subire mobbing in maniera persistente, da un mostro a tre teste, mentre dietro le quinte c’era anche la complicità di una figura maschile: l’educatore.

Questa preside era tanto temuta ed aveva una brutta fama, come quella di aver fatto mobbing ad altri docenti in passato, in altre scuole. Era sua abitudine inoltre trattare senza riguardo i suoi dipendenti e si sentiva appagata solo se riusciva a far soffrire qualcuno. Credeva che il suo potere dovesse essere incanalato verso la via della distruzione, per sentirsi importante. Mi stavo esaurendo, non ce la facevo più, ero stremata e demoralizzata, ogni mattina mi sembrava di andare in guerra…cercavo come potevo di difendermi contro delle belve inferocite. Mi sentivo impotente nel vedere soffrire P. che era obbligato a restare in classe. Decisi pertanto di mettermi in malattia, ma prima di farlo, pensai di interpellare singolarmente un paio di colleghe, le più accanite (compresa la sobillatrice) dinanzi ad altre due colleghe fidate, in modo da scrivere e protocollare le loro affermazioni per avere ulteriori prove del mobbing a cui ero sottoposta:

“Chi vi ha dato ordini di impedire a P. di uscire dalla classe con me? Perché sappiate che io da questo momento in poi non prenderò più ordini da voi colleghe, ma solo direttamente dalla dirigente!” Risposero titubanti e seriamente colpite nel segno “Lo ha deciso la dirigente!” Così la preside fu smentita dalle complici stesse, nel momento in cui lei aveva dichiarato il falso, facendo risultare in un verbale che il collegio di classe aveva preso questa decisione: il demansionamento. Anche questo documento, tra gli atti che la dirigente dovette consegnare all’avvocato difensore, metteva alla luce la verità nascosta, cioè quella di far risultare che non era stata la preside a decidere, ma il collegio di classe. Certo, così risultava nel verbale, ma in verità gli insegnanti erano stati costretti a firmare.

Qualcuno mi aveva confidato infatti che quel giorno la preside, approfittando della mia assenza, aveva intimato e obbligato tutti i colleghi a firmare il verbale con la notifica: la prof. di sostegno in questione, non avrebbe più avuto la facoltà di decidere se portare fuori o meno il ragazzo dall’aula. Erano stati tutti soggiogati. Così, quindici giorni prima dell’incontro nell’ufficio della dirigente, mi presentai in segreteria per poter leggere ed eventualmente chiedere una copia del famoso verbale e, stranamente, un’impiegata quando mi vide allo sportello, fu molto a disagio e dopo un attimo di esitazione, mi rispose che non sapeva nulla del verbale e che avrei dovuto aspettare la preside. A quel punto cercai di varcare la soglia della porta già aperta, con le dovute maniere, per avere delle spiegazioni da un altro impiegato, che stava lavorando, il quale con sorpresa mi guardò quasi terrorizzato e mi disse testualmente: “Non si avvicini!” Il mio istinto sarebbe stato di rispondergli: “Stia calmo, non ho la pistola!” Però mi trattenni e risposi. “Stia tranquillo, non gli faccio niente!”

Mi sentivo indignata, perché notavo come la dirigente, imperterrita, continuasse a commettere abusi di potere e pensavo sconcertata: “Mi hanno negato il vergale! Inaudito! Hanno qualcosa da nascondere? Negarmi un verbale è troppo…troppo illegale!” Evidentemente anche loro erano stati istruiti dalla preside e chissà che altre illazioni avrà detto su di me, anche al personale di segreteria! Di fatto, l’uomo si allontanò, probabilmente per telefonare alla preside (che lavorava in un’altra scuola) e dopo un po’ mi disse: “Tra dieci minuti arriva la dirigente, così parlerà direttamente con lei!”

Figuriamoci se io avessi avuto tempo da perdere o voglia di parlare con lei! Né tanto meno avrei voluto vedere la sua faccia! Ebbi la prontezza di rispondergli nel modo più appropriato: “Non si preoccupi, come non detto, posso fare a meno del verbale!” Salutai e me ne andai speditamente. Sicuramente la dirigente non potette togliersi la soddisfazione di intimarmi o terrorizzarmi ulteriormente, come probabilmente aveva già programmato, altrimenti non avrebbe dato ordini ai suoi dipendenti di negarmi il verbale, aveva deciso di sottopormelo lei stessa e magari non me lo avrebbe nemmeno fatto vedere! Allorché chiesi un colloquio alla madre di P. onde chiarificare le colpe che la dirigente mia aveva subdolamente attribuito, stranamente questa mi comunicò “mediante il diario del figlio” che avrebbe preferito la presenza della prof. (sobillatrice).

Per quale motivo avrebbe avuto bisogno di essere sostenuta dalla mia collega, se questa in apparenza non c’entrava nulla in questa faccenda? Naturalmente io rifiutai il colloquio in tali modalità, ma mi riproposi di potere riformulare la richiesta d’appuntamento, senza terze persone, dato che il colloquio riguardava soltanto me e la signora madre, ma non ci fu però l’opportunità di chiarire la cosa come avrei voluto. Un colpo di scena fu quello della telefonata alla madre dell’alunno e adesso racconterò (sembra la scena di un film).

Una mattina, chiesi la cortesia alla bidella di telefonare alla madre dell’alunno per disdire l’appuntamento con lei preso per quella mattina, (alla presenza della (sobillatrice) e comunicarle che presto le avrei dato un altro appuntamento, ma singolarmente. Mi trovavo in classe per una supplenza. Dopo pochi minuti entrò la stessa col telefono in mano, dicendomi che aveva avuto ordine dalla mia collega (la sobillatrice) di non telefonare, quindi toccava a me chiamarla, ma io non vedevo alcuna motivazione di questo strano puntiglio e così mi rifiutai. Dopo cinque minuti, entrò in classe di nuovo la bidella e mi disse: “Ha detto la prof. che lei stessa dovrà telefonare alla signora”.

A quel punto mi incaponii maggiormente, non sopportavo di essere comandata da una collega, dopo che mi aveva cacciato nei guai! Così mi rifiutai nuovamente. Dopo un po’ entrò in classe un’altra bidella col telefono in mano, cercando di convincermi a telefonare, ma io fui ancora irremovibile. Ma perché tanta insistenza? Semplice, perché la sobillatrice avrebbe fatto risultare poi alla dirigente che io sfuggivo dalla madre! Quindi per l’ennesima volta, avrebbe stravolto i fatti. Dopo cinque minuti entrarono in classe la stessa collaboratrice della dirigente (la sobillatrice) insieme alla sua complice (la venduta). Sembravano il gatto e la volpe. Una delle due aveva il telefono in mano e mi invitava con fermezza a telefonare alla signora, ma io mi opposi, mentre tutte e due continuarono a insistere. Al punto, con tono alterato risposi: “Se per voi è un ordine, dovette metterlo per iscritto! Verbalizzate!”

Entrambe cambiarono atteggiamento, furono a disagio, perché probabilmente non si aspettavano da me una simile reazione, uscirono dall’aula come due cani bastonati ed io non riuscì a trattenermi e dissi con tono molto deciso: “Non vi permettete più di importunarmi mentre sto lavorando! Comandate piuttosto a casa vostra!” In classe non volava neanche una mosca. Appena richiusi la porta dell’aula, ci fu un lungo applauso da parte degli alunni che si erano goduti la scena. “Brava prof. - qualcuno disse - quando ci vuole ci vuole!”. Era la prima volta che vedevano la loro prof. rimproverare le due colleghe, proprio le più temute nella scuola. Ero arrivata al punto di rifiutarmi al telefono con gli impiegati della segreteria, avevo i nervi a fior di pelle e così invitai il personale a comunicare con me soltanto per iscritto, per obbligare la dirigente ad agire con trasparenza.

Adesso c’era poco da scherzare, ero arrivata all’esasperazione. Intanto la dirigente avrebbe avuto voglia di catturarmi come un topo, per potermi a modo suo ancora intimidire, pensando di essere sempre parte vincente. Io ero diventata sempre più sfuggevole e sospettosa, anche perché il gioco si era fatto pesante e pericoloso, per questo lei fremeva e maggiormente s’inaspriva. La mia diffidenza palese nei suoi confronti la preoccupava e non le dava pace. Dopo essermi messa in malattia, (fino alla fine dell’anno) finalmente presi la decisione di presentarmi presso la Medicina del Lavoro per sottopormi a visita medica e poter eventualmente dimostrare che avevo subito mobbing in quella scuola. Dopo aver raccontato la mia triste vicenda, fui sottoposta ad un test con ben 550 domande, dove risultò che la mia condizione di salute mentale era in perfette condizioni e che non soffrivo di manie di persecuzione, a parte però, l’eccessivo stress che avevo subito e accumulato. Di conseguenza, nella relazione che mi fu rilasciata affermarono gli esperti che il mobbing di cui ero stata vittima, aveva creato uno scompenso che mi sarei portata dietro nel prosieguo della vita associativa.

Non dormivo più la notte, mi sentivo scossa, amareggiata, con tanta rabbia dentro… danneggiata e moralmente depressa. Quando mi ripresi, andai a denunciare la madre di P. per diffamazione, anche se sapevo che la signora era stata usata come cavia, ma nello stesso tempo avrei voluto darle un segnale, per farle capire che con il suo comportamento era arrivata a mettere in dubbio la mia integrità di persona integerrima che ero, facendosi scioccamente e ingenuamente soggiogare da certi … malevoli personaggi. La signora, inoltre e nonostante tutto, non aveva nemmeno compreso che in tutta questa sporca faccenda era stato penalizzato per primo suo figlio, avendo subìto in quel periodo scolastico tutto il male che un essere “già penalizzato da madre natura” potesse sopportare.

Sul finire della storia, presentai in Procura il mio fascicolo, ovvero la mia difesa, contro le tante illazioni e prove del mobbing che avevo subito da parte della Preside e di alcune colleghe da ella stessa plagiate. Gli impiegati mi consigliarono di sporgere denuncia contro ignoti, perché questa sarebbe stata la prassi. Oggi a tal proposito mi chiedo: “Ma come si poté parlare d’ignoti, con tanto di protagoniste reali e viventi che avevano così artificiosamente e dolosamente costruito e manipolato la vicenda?”

Seppi in seguito che il caso era stato archiviato, quindi le indagini non ci furono. Del resto non è sempre facile dimostrare il mobbing, tanto più che tanti docenti al momento di testimoniare “è ampiamente dimostrato” si tirano indietro per non esporsi ed anche per paura di ritorsioni. L’unica persona che avrebbe testimoniato sarebbe stata una collega, diventata poi amica stimatissima, di cui mi fidavo e mi fido ciecamente, una persona davvero coraggiosa, saggia e leale. Avrei potuto persistere nel voler procedere legalmente, ma forse non ne sarebbe valsa la pena: sia per il denaro che avrei dovuto spendere senza un risultato garantito e sia per l’ulteriore stress che avrei dovuto subire. Con il senno del poi tutto diventa facile” …avrei sofferto ancora e Dio solo sa…con quali conseguenze.

Purtroppo sono rari i casi in cui i fenomeni di mobbing raggiungano il giusto esito, sia perché non vengono considerati nella loro effettiva gravità, sia perché le persone chiamate in causa a testimoniare al momento opportuno, usano tirarsi indietro. Questa è la Legge umana e non divina, queste sono le pericolose persone da cui siamo circondati, questi sono certi dirigenti… questa è una parte negativa e spiacevole della nostra breve e complicata vita terrena!”

PARTE SECONDA

RIFLESSIONI SULLA “BUONA SCUOLA”

RIFLESSIONI

La “Buona Scuola” è stata concepita da burocrati, che con l’intento di rendere più funzionale questo delicato organismo quale è il mondo dell’Istruzione, ne hanno invece complicato e appesantitole procedure formali, senza raggiungere il centro corale dei veri problemi. La “Buona scuola” si preoccupa di formare i docenti sotto il profilo didattico, quando invece le problematiche reali si presentano sul piano educativo. I problemi più difficili da superare nascono nelle classi di 30 alunni che pongono il docente di fronte a serie difficoltà di gestione della classe. Nella scuola contemporanea sappiamo bene come la parte maggiore dell’impegno di un docente debba essere speso per il mantenimento della disciplina.

La vera difficoltà della Scuola non tanto riguarda l’aspetto didattico, quanto quello relazionale. Forte contrasto si riscontra nel rispetto dei ruoli ovvero: tra insegnanti e insegnanti, tra dirigenti e insegnanti, tra alunni e alunni, tra genitori e docenti. Se un corso extra si dovesse tenere, dovrebbe riguardare la buona educazione, che sta diventando una virtù sempre più rara. Una delle ultime riforme della scuola ha operato sui tagli di risorse da destinare all’istruzione, quasi promettendo che con meno soldi si possa fare di meglio. A proposito degli investimenti, i corsi stessi di formazione per i docenti, assorbono delle risorse economiche che potrebbero risultare più proficue se investite diversamente, supportando piuttosto l’inserimento di alunni di lingua straniera o con disagi sociali.

Non può esistere la “Buona scuola o la “cattiva scuola”, ma occorrono le buone persone che la costituiscono e che la rappresentano, per cui trattasi soltanto di una bella utopia buona a vendere illusioni. Ribadisco, oltre all'esigenza di disporre di persone preparate, corrette e oneste, occorrerebbe creare un ambiente che agevola e tutela non solo gli alunni, ma anche il personale e gli educatori. La vera scuola non esiste più. Per quanto riguarda i corsi di aggiornamento, ad esempio quello sul bullismo, credo che per i docenti si riduca all'essere informati magari sulle strategie da adottare per combattere il fenomeno, ma a parte i bei discorsi, alla scuola non è dato nessun tipo di strumento correttivo per controbattere il fenomeno.

Alla comunità scolastica è stato tolto da un pezzo il ruolo educativo esistente una volta, quindi le teorie formulate rimangono solo belle parole e non scelte applicabili. Persino i provvedimenti disciplinari, tipo le sospensioni rimangono stentati nell'applicazione e vengono a scontrarsi con il principio dell'inclusione, che prevede l'inserimento di ogni alunno, a prescindere dal tipo di problematiche di cui è portatore. Se ogni docente o dirigente anziché investire la propria energia negativa per cercare di distruggere un collega o un dipendente, investisse per offrire collaborazione onde unire forze e menti, creando un clima di serenità, la scuola stessa funzionerebbe sicuramente molto bene. Se le normative burocratiche si considerassero meno importanti rispetto alle reali problematiche degli alunni e alla dignità degli insegnanti, la scuola sarebbe efficiente.

GENITORI COMPLICI DELLA MALEDUCAZIONE

Per quanto riguarda invece i genitori, ricordo che una volta convocai la mamma di un alunno per metterla al corrente del comportamento scorretto tenuto dal figlio: questa vistosamente offesa, mi rispose in modo sgarbatamente ed usando addirittura un atteggiamento di sfida nei miei confronti. Quando al colloquio questa si presentò, “aspetto tra l’altro molto distinto” rimasi alquanto perplessa e delusa, quando minimizzò il problema dicendo:

“Mi scusi professoressa, ma c’era bisogno di convocarmi e mettermi nelle condizioni di chiedere un permesso sul posto di lavoro, solo per comunicarmi questa cosa tanto poco importante?” Cosa si può rispondere ad un genitore che dà per scontato che se il proprio figlio non rispetti gli insegnanti e gli insegnamenti sia cosa del tutto normale?

QUALI STRATEGIE ADOTTARE?

Dando per scontato che ognuno debba fare la sua parte, assumendosi le proprie responsabilità con onestà e dignità, bisognerebbe creare nuovi posti di lavoro. In compresenza con l’insegnante occorrerebbe la presenza di un vigilante disciplinare, il cui compito dovrebbe essere quello di sorvegliare gli alunni, affinché seguano le lezioni e soprattutto per fare in modo che in classe non si creino scompigli. Soltanto in questo modo si avrebbe la garanzia di avere il tutto sotto controllo. Questo anche a salvaguardia dell’incolumità degli alunni e la serenità degli insegnanti. È più che logico che qualora il docente non possa lavorare in pace, i risultati non potranno essere che pessimi. È anche vero che questo non risolverebbe del tutto il problema del disagio che esiste nella scuola, a quanto meno, con l’intervento dell’aumento del personale, soprattutto con la presenza di una figura sorvegliante la classe, credo che in gran parte il problema si potrebbe alleviare.

Tutto il resto poi è legato al fattore educazione dei singoli individui: alunni, genitori, corpo docenti, dirigenza scolastica ecc. Non dimentichiamo che proprio il ruolo educativo gioca un ruolo molto importante e comunque ribadisco: lo staff dirigenziale al momento opportuno dovrebbe assumersi in ogni caso le proprie responsabilità e non fare finta di niente. Vogliamo capire una volta per tutte che ognuno di noi ha un compito ben preciso in una società? Facile a dire e difficile da attuare, ma ogni genitore dovrebbe cercare “anche nel suo piccolo” di essere obiettivo nelle circostanze: giusto, amorevole, ma anche severo all’evenienza, educare e preparare i figli nel modo più sano possibile, avere il coraggio di punire al momento del bisogno e non scagliarsi da tifoso contro l’insegnante anche quando il proprio figlio è nel torto marcio. L’insegnante ha il compito di insegnare, i genitori di educare, i vertici di dirigere, nonché sorvegliare ed impartire di volta in volta le giuste e corrette direttive.

È anche vero che il docente deve saper educare, ma ugualmente all’atto pratico, è nel dovere primo di trasmettere agli alunni le regole civili da rispettare in classe, che poi sono le stesse che richiede la scuola. (in proposito esiste anche un regolamento scritto). È troppo comodo riversare le colpe sempre addosso agli insegnanti, anche quando l’alunno non vuole sentire ragione! Ovviamente anche tra i docenti c’è chi ha carisma per farsi rispettare e chi invece non ha, la cosa però triste è lo scontrarsi con le mentalità deboli e purtroppo anche meschine di certi superiori. Ci sono tra loro quelli che sostengono e difendono a spada tratta gli alunni qualunque anche insano comportamento mantengano.

A livello razionale non c’è una spiegazione. In poche parole, il prof. che incute timore non ha sicuramente più meriti del collega debole, semmai ne avrà un vantaggio! Ho potuto anche verificare che le strategie basilari adottate dai diversi insegnanti sono le medesime! Quindi, tutti conoscono – conosciamo le regole fondamentali che gli alunni dovrebbero rispettare almeno in classe. Eppure il risultato non è lo stesso…perché? Se non si insegna o non si riesce a far capire a bambini e adolescenti che tutti meritiamo uguale rispetto, non facciamo altro che alimentare la legge del più forte, quindi del bullo, del mafioso! Ciò è triste, è umiliante ma è anche questa una sacrosanta verità. In poche parole, non è l’insegnante che deve cambiare strategie, dato che di strategie non si tratta come ho dimostrato, ma si tratta di indole e l’indole non si può cambiare.

Di conseguenza è l’atteggiamento dell’alunno che deve cambiare e non viceversa. Ed allora, secondo una logica più che ovvia: prima andrebbero cambiati i genitori, poi i figli. Vorrei concludere con un esempio, per esprimere questo concetto con maggiore chiarezza. Una persona predisposta al furto, prima di entrare in azione si guarda intorno e nota che dei sorveglianti la stanno tenendo d’occhio, si controlla, si astiene, finge di avere altri interessi, quando però si accorge che non c’è più nessuno a badarla commette il premeditato furto. Ecco ora la domanda: Di chi è la colpa, di colui che ha rubato, o di chi avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto?

Non mi si venga a raccontare che il ladro è giustificabile perché nessuno lo ha sorvegliato a dovere! Chi ha rubato, si chiama ladro, punto e basta! Continuando di questo passo, “spero vivamente che mai accada da noi” un giorno si potrebbe arrivare a registrare fenomeni come quelli che si verificano già in America, dove scolari arrivano armati e commettono stragi dentro la scuola stessa. Ai nostri giorni la scuola è paragonabile ad una fortezza assediata all’interno e della quale l’unico interesse sembra la bella figura personale e non invece l’urgenza di solidalizzare e stabilire un piano comune per sostenere l’emergenza.

DEDICATO A TUTTI COLORO CHE INVIDIANO CHI USUFRUISCE DELLA LEGGE 104

Nelle scuole spesso e puntualmente si verificano episodi davvero incresciosi, dovuti alla meschinità, stupidità e cattiveria umana. Molti insegnanti (tranne ovviamente gli intelligenti muniti di senso umanitario) per invidia e per animalesca ignoranza hanno il coraggio di criticare alle spalle e prendere di mira dei colleghi che usufruiscono della legge 104 e ciò non può trovare giustificazione da qualsivoglia lato la si osservi. Lo stare a casa per tre giorni al mese sembrerebbe a costoro “benpensanti” un lussuoso beneficio o addirittura agevolazione da concedersi “ad personam” perché più bella delle altre. Mi sembra…anzi… è un paradosso!

Come si può invidiare le disgrazie altrui? Come si può mal pensare di chi soffre magari pene d’inferno? Roba da pazzi! Vorrei rispondere in modo accorato e aperto a questa categoria di individui. Per prima cosa e che non ci siano dubbi, coloro che usufruiscono della 104, avranno sicuramente delle serie motivazioni riconosciute dalla Legge, altro che privilegio. A nessun nemico dovrebbe augurarsi di usufruire di una tale disposizione. Chi la utilizza è perché in verità porta sulle spalle un enorme fardello, come assistere un familiare malato e forse condividendone il dolore per tutta la vita. A volte può trattarsi di figli disabili… e non ci sarà mai un Cireneo pronto ad alleviare quel peso.

Non esistono né soldi, né tempo per poter compensare il vuoto e il disagio di una famiglia che trovasi in tali condizioni.

Sicuramente quei tre giorni al mese di assenza dal lavoro non servono ad appagare i rimanenti giorni dell’anno, dove fatica, stress e pene continue non troveranno lenimento.

Le persone da voi bersagliate vi regalerebbero ben volentieri “il beneficio” della legge 104, basterebbe che voi foste però capaci di guarire la persona malata.

Quindi, cari “geni”, prima di parlare o additare qualcuno, collegate la lingua al cervello e piuttosto: “Abbiate il coraggio di vergognarvi! ”

Probabilmente, tu che stai leggendo, essendo persona intelligente e soprattutto se hai “come credo” i sentimenti puri, proverai certamente disgusto e indignazione dinanzi a certi indigesti e vergognosi disumani comportamenti.

VIDEOSORVEGLIANZA

Credo che non ci sia ombra di dubbio sull’opportunità dell’utilizzo della video sorveglianza, a cominciare dalle scuole materne fino alle superiori ed esistono migliaia di motivi perché sia messa in atto. Prima di spiegare le motivazioni, mi piace premettere che il lavoro degli operatori scolastici, in particolare dei docenti, dovrebbe essere svolto alla luce del sole. Di conseguenza, quando sento dire che per rispetto della privacy, non si vuole attuare questo tipo di moderna tecnologica sicurezza, mi sembra una motivazione alquanto ridicola e assurda. Rispondo in proposito, che è molto più importante tutelare l’incolumità dei docenti e dei discenti, anziché della tanto osannata e sbandierata privacy.

La telecamera è un importante mezzo di visiva testimonianza, che consente di appurare i fatti reali e non supposti o travisati, come purtroppo troppo spesso accade. Del resto, solo chi è in mala fede potrebbe essere contrario ad una tale applicazione. La telecamera non mente, non nega, non è di parte, non è corruttibile. Vede e mostra la verità lampante. Nell’ambito scolastico e non solo, si creano spesso delle situazioni di sofferenza e di ingiustizia, proprio perché inevitabilmente esistono delle versioni discordanti sui fatti, sia per i diversi punti di vista che per mancanza di lealtà e correttezza. Succedono infatti spiacevoli episodi che mai potranno essere chiariti. In un ambiente che potrebbe essere tranquillo, anche con tutta la buona volontà, sovente diventa impossibile. Cercherò di elencare qui di seguito i diversi motivi dell’uso della video sorveglianza:

. L’insegnante non riesce a gestire una classe.

Grazie alla registrazione durante le sue ore di lezione, si può realmente verificare cosa succede in classe e prendere in atto le azioni compiute. Esaminiamo le due possibilità:

. La prima – il docente potrebbe fare i cruciverba o leggere beatamente il giornale, senza occuparsi degli alunni (esempio estremo ovviamente, anche perché sarebbe da stupidi e la classe stessa potrebbe ribellarsi).

. La seconda possibilità (la più probabile) il docente non riesce a gestire le classi perché gli alunni decidono di non dargli importanza, poiché non lo temono, quindi decidono di non rispettarlo. Risultato: si crea il caos in classe, nonostante l’insegnante adotti tutte le strategie immaginabili per presentare la lezione nel modo più opportuno e renderla interessante.

. Spesso i ragazzi raccontano alle famiglie la loro versione che non è quasi mai obiettiva, con il risultato che il docente fa la figura dell’incapace “spesso con la complicità dei colleghi più spietati ” che vorrebbero salire sul podio, autostimandosi più capaci.

. C’è anche il caso di docenti che suscitano timore (non certo perché siano più capaci) credendosi più abili di altri.

. Un altro caso: il docente sta scrivendo alla lavagna per svolgere la lezione, quando all’improvviso qualcuno lo colpisce alle spalle lanciandogli un gesso o qualcosa di più pesante.

La telecamera potrebbe individuare il responsabile e dare a chi di dovere l’opportunità di sanzionare una punizione adeguata.

. Un altro caso: un insegnante ha la mania di palpare le ragazzine. Magari tante non ne parlano per una questione di delicatezza o per vergogna o per paura di non essere credute. Chi ha il coraggio di testimoniare?

La telecamera non lascerebbe dubbi di sorta. Ovviamente dovrebbero rimanere sempre le documentazioni riservate, nel senso che non dovrebbero essere rese visibili agli occhi di tutti, ma dovrebbero servire soltanto nei casi in cui si dovessero creare degli spiacevoli episodi e perché la verità nella bisogna potesse essere documentata. Un esempio estremo è di qualche insegnante “fuori di testa” che usa violenza sugli alunni della scuola elementare o della scuola materna.

Soltanto adottando l’uso della telecamera, verrebbero tutelati sia gli alunni che i docenti e far prevalere una volta per tutte la giustizia. In materia esiste ancora un ulteriore risvolto che volgerebbe al positivo: solo per il fatto di sapersi a rischio, gli abituali incoscienti, usi a commettere abusi e violenze sui più deboli, “Vds. Case di Riposo e affini” ci penserebbero due volte prima di agire, consapevoli che ogni azione illecita delittuosa verrebbe poi visionata e punita. Già esistono telecamere installate per il controllo di aree pubbliche come piazze, negozi, banche, oreficerie ecc. e a maggior ragione dovrebbero utilizzarsi anche nelle scuole: se nell’ambito scolastico si teme la violazione della privacy, perché questo non accade anche negli altri contesti? Chiunque frequenti la scuola per lavoro, presta un servizio alla pubblica utilità, per cui non capisco cosa ci sia da nascondere e da non dover essere esperito in modo diafano e alla luce del sole.

COME RELAZIONARSI TRA COLLEGHI DI LAVORO

. Non trattare i tuoi colleghi come se fossero dei bambini.

. Sii gentile con i colleghi e comprensivo con quelli più fragili.

. Se sei stato incaricato dal dirigente di collaborare, non dimenticare che resti sempre un dipendente, per cui non hai alcun potere sui tuoi colleghi.

. Se sei riuscito a salire di livello, non puoi pensare di dominare o umiliare, ma solo di avere una responsabilità maggiore. Metti da parte la tua superbia.

. Se hai qualcosa da chiarire con un tuo collega, non farlo in presenza di altri.

. Se ti sei accorto che qualcuno vuole prevaricarti, intralciare il tuo lavoro, o avvilirti, tienilo a distanza e fagli capire che non sei la sua preda e non ne temi. Qualora la sua presunzione lo autorizzasse a persistere con la sua prepotenza, chiedigli di mettere per iscritto tutto ciò che lui ha detto sul tuo conto, o che ti ordina di fare indebitamente. Vedrai, diventerà mansueto con un agnellino!

. Se ti trovassi un giorno ad essere capo, ricorda di conservare la tua dignità e sappi che dirigere non significa sottomettere gli altri con la prepotenza o l’arroganza: per essere rispettato è sufficiente manifestare la propria professionalità e soprattutto rimanendo una persona corretta e garbata.

. Se pensi di dover denigrare un tuo dipendente o imporgli una mansione, mettilo per iscritto, se sei trasparente e non hai nulla da temere. Se invece non hai il coraggio di farlo, significa che si tratta di calunnie o abusi di potere.

. Se tu, collega o direttore, non ti sai frenare e hai la tendenza a voler comandare col terrore, fallo a casa tua, perché non siamo in regime totalitario.

COME DIFENDERSI DALLE PERSONE AGGRESSIVE

Le persone docili e pacifiche sono senza dubbio le migliori, perché con essi ci si può relazionare con facilità e piacevolmente. Questi soggetti non daranno mai problemi agli altri, dovrebbero però imparare a guardarsi le spalle. Le persone aggressive fanno fatica a relazionarsi con gli altri. Una volta che riesco a capire che il carattere di certi elementi è aggressivo, cerco di tenerli a distanza pretendendo rispetto. Desidero riportare alcuni esempi.

Essendo stata precaria per parecchio tempo, ho lavorato in molte scuole, per cui ho incontrato gente di tutti i tipi: le brave persone s’ incontrano ovunque, in ogni luogo e ambiente di lavoro, così come purtroppo quelle negative. Ho potuto notare le stesse dinamiche di comportamento, non solo tra gli alunni, ma tra bidelli, amministratori, docenti, dirigenti e psicologi. I moventi che creano e fanno evolvere certe situazioni, sono i medesimi, perché caratterizzati dagli stessi sentimenti umani. La gentilezza dovrebbe essere usata da chiunque, a prescindere dal tipo di ruolo sociale rivestito. Una persona educata dovrebbe usare modi garbati sempre, dovunque e con chiunque.

Fatta questa premessa, aggiungo che i modi gentili andrebbero praticati a cominciare dal nucleo familiare: chi opera in ambito di istruzione come la scuola, dovrebbe essere il primo a non limitarsi a trasmettere nozioni di prassi, ma insegnamenti di vita. C’è chi la gentilezza la usa spontaneamente, c’è chi forzatamente. Ovviamente dipende dalla natura di ciascun essere umano. In passato l’educazione era la norma, oggi purtroppo, pare sia il contrario.

L’INSEGNANTE AMATA E INVIDIATA

Concludo questo libro con una bizzarra esperienza che riguarda un’ insegnante della scuola elementare, nonché mia cara amica. Prima di raccontare l’episodio, ritengo opportuno descrivere il personaggio. La chiamerò Nadia.

Nadia, oltre ad essere un’ insegnante, è un artista completa: è un’eccellente violinista e brava pittrice, mentre la sua vera passione è il teatro. Tiene dei corsi di recitazione a scuola e ad ogni fine anno organizza uno spettacolo teatrale dal successo scontato. Oltre ad essere molto apprezzata per le sue doti artistiche, è ben voluta da tutti per il suo buon carattere: è solare, affabile, generosa, scherzosa, affettuosa. Di conseguenza è amata dai suoi alunni e anche dai colleghi, tranne evidentemente dalle persone meschine che nutrono sentimenti di invidia nei suoi confronti. Quando arriva in classe, i bambini le fanno l’applauso.

Un giorno, spinta da uno slancio di generosità, decise di donare alla scuola un quadro ad olio raffigurante un paesaggio, da lei stessa realizzato. Entrando a scuola, colleghi, alunni, genitori, restavano incantati dalla bellezza del dipinto, ma quando lo vide una collega collaboratrice della dirigente, “persona dal carattere aspro e istintivo” si indispose tanto che le intimò di toglierlo, senza peraltro darle una motivazione plausibile. Nadia, sentendosi toccata nel vivo, si rifiutò categoricamente di eseguire quell’ordine, che veniva oltretutto da una collega. La strana persona che si atteggiava a “capa” ma non lo era affatto, aveva la brutta abitudine di voler comandare, come se fosse la proprietaria dell’Istituto. Non sopportando il fatto di non essere presa in considerazione da Nadia, come avrebbe voluto, si mise quindi a urlare:

“Questo quadro non deve stare qui, è fuori luogo! Toglilo!”

Nadia la spiazzò con il suo usuale modo di fare pacato, rimanendo impassibile e le rispose: “Piace a tutti, quindi il quadro resta qui. Se non ti piace non guardarlo!” I presenti, ovviamente rimasero stupiti da una simile controversia, qualcuno intervenne in difesa di Nadia, mentre altri preferirono tacere.

Ebbene, si venne a scoprire che questa collega aveva la mania di primeggiare, di essere sempre al centro dell’attenzione e che aveva persino regalato alla scuola delle sue vecchie stampe chic, incorniciate, che avrebbe dovuto buttare, ma volendo fare bella figura le aveva regalate alla scuola elementare. Questa in pratica odiava Nadia e ne era particolarmente invidiosa. Il fatto di non essere “obbedita” dalla collega artista, l’aveva fatta imbestialire, così il giorno successivo, andò di nascosto a parlare con la preside. Una mattina, approfittando dell’assenza di Nadia che era a casa in malattia, la dirigente, arrivò accompagnata dall’odiosa insegnante, rimosse il quadro che si trovava appeso alla parete dell’atrio e se lo portò via.

Le maestre restarono sbalordite, tranne evidentemente la mandante, che sicuramente, appagata, rideva sotto i baffi. Il giorno successivo, Nadia vide la parete vuota, chiese spiegazioni ai bidelli, i quali molto a disagio riferirono quanto si era verificato il giorno prima. Nadia rimase amareggiata e senza parole, ma per amor di pace, non disse niente alla collega che aveva architettato il piano e da quel momento la tenne a distanza. Sapeva che era stata lei l’artefice. Telefonò alla dirigente per chiedere un appuntamento e poter avere il quadro in restituzione. La preside, senza nemmeno scusarsi e con tono sostenuto, le rispose di aver commesso un grave errore per non avere fatto la domanda scritta onde chiedere l’autorizzazione, prima di appendere il quadro.

A Nadia caddero le braccia a terra e non replicò, aveva capito di avere a che fare con una persona insensibile, incapace di rispettare gli altri e che aveva agito come se fosse stata la padrona dell’opera. Le rispose comunque che anche la sua collega aveva regalato e appeso delle stampe a scuola, senza chiedere il permesso, quindi pensava di non aver commesso niente di grave.

La dirigente, di rimando le rispose: “Lei non si preoccupi di quello che fanno gli altri!”

Nadia, umiliata che fu, dopo un po’ di tempo, quando la dirigente fu disponibile a riceverla, si dovette recare presso un’altra scuola per ritirare il suo quadro rifiutato e trafugato dalla stessa preside. Nessuno sa quali fossero le sue vere intenzioni. La storia non è ancora finita.

Nadia, essendo nell’anno di prova per l’immissione in ruolo, doveva stare molto attenta a non commettere errori, quindi non poteva reagire alle provocazioni della dirigente, né tanto meno da chi esercitava potere su di lei, questo per evitare qualche eventuale rivalsa. Nadia inoltre presentava una fragilità di salute: soffriva di attacchi di panico, per cui dopo tanto peregrinare da uno specialista all’altro, si fece visitare presso l’Ospedale della Medicina del Lavoro, almeno per farsi rilasciare una relazione in cui si sarebbe attestato che la docente, a causa di quei disturbi, avrebbe dovuto cambiare mansione, ovvero che avrebbe dovuto dedicarsi esclusivamente ad un gruppetto di alunni e non alle classi intere.

Verso la fine dell’anno scolastico, la maestra parlò con la dirigente affinché nell’anno successivo potesse cambiare mansione, ma la dirigente le fissò un appuntamento col medico del Lavoro (subordinato alla Scuola) dandole l’impressione che la decisione dipendeva dal Medico stesso.

Arrivato il momento della visita, Nadia sottopose la relazione medica al dottore, il quale le rispose che perché potesse cambiare mansione, avrebbe dovuto stabilirlo la preside, non dipendeva dal medico.

Ora io mi chiedo: “Che potere può avere un medico del Lavoro, se poi le decisioni riguardo all’impiego dei dipendenti “in questo caso della scuola” spettano a una preside che non ha certo funzioni sanitarie? E perché la dirigente stessa avrebbe mandato l’insegnante a visita medica? Non sarebbe stata più onesta se le avesse risparmiato quella inutile fatica, visto che il medico del Lavoro non ha voce in capitolo?”

Mancava poco tempo perché che Nadia potesse sostenere l’esame per il superamento dell’anno di prova, quando venne convocata dalla dirigente. Anche se in modo apparentemente indolore, la ricattò con le testuali parole:

“Lo sa che lei non ha i requisiti per superare l’anno di prova?”

…e Nadia: “Perché?”

“Perché lei ha dichiarato di non essere in grado di gestire le classi, quindi rischia di ripetere l’annuale esperimento. Però se lei seguirà il mio consiglio, vedrà che tutto andrà bene. Cambi scuola! Dia retta a me! Faccia di tutto per chiedere l’assegnazione provvisoria, altrimenti rischierà davvero di ripetere l’anno!”

A quel punto, Nadia dovette accettare, non ebbe altra scelta, nonostante si trovasse molto bene in quella scuola, ma semplicemente per non vedere più la faccia della collega arpia (l’architetto di tutta quella messa in scena) e la stessa faccia della dirigente. Finì per accettare la proposta oscena, ma soprattutto per non essere costretta a ripetere l’anno di prova, già di per sé abbastanza faticoso. Era consapevole che si trattava di una proposta illegale, ma dovette suo malgrado sottomettersi. In verità i requisiti per l’insegnamento, non avevano nulla a che fare con i suoi problemi di salute, quindi non esisteva un nesso con le competenze o con le strategie da adottare, né tanto meno con l’anno di prova. Nadia ebbe in seguito conferma dal sindacalista che si trattava semplicemente di un abuso di potere.

È capibile che la dirigente aveva avuto ordini dalla maestra invidiosa (che odiava Nadia) e che quindi avrebbe dovuto cambiare aria. Per la meschina maestra, Nadia rappresentava infatti una minaccia: farla sfigurare, dato che brillava troppo, mentre la tiranna avrebbe perso quel po’ di luce che credeva di avere, mentre in realtà aveva soltanto una grande superbia e cattiveria. Paragonerei questa storia alla fiaba di Biancaneve e la strega.

La maestra artista successivamente fu tentata di denunciare la preside, ma capì che non ne valeva la pena. In compenso però, l’anno successivo si trovò benissimo nella nuova scuola. Nadia incontrò un dirigente molto corretto e competente, che ascoltava di buon grado i docenti e si sentì finalmente appagata. Dopo aver preso in considerazione i suoi certificati medici, il preside, senza esitare, le cambiò mansione, come era giusto fosse.

GLI INSEGNANTI DI SOSTEGNO IN DIFFICOLTA’

Nella scuola ci sono parecchi alunni disabili, con diagnosi più o meno gravi. Finché si tratta di ragazzi innocui che hanno bisogno di pura assistenza, va tutto bene, ma quando si tratta di ragazzi che da un momento all’altro possono diventare anche violenti, il compito non è assolutamente facile.

Spesso capita che non siano gli insegnanti di sostegno a decidere se accettare o meno di prendersi cura dei casi anomali, ma gli viene imposto dal dirigente, per cui capita loro di dovere assumersi impegni troppo gravosi rispetto alle proprie possibilità. A mio parere non è corretto obbligare gli insegnanti di sostegno ad occuparsi dei casi estremamente difficili, in quanto occorrono le competetene adeguate che non tutti hanno, compresa la forza fisica, oltre ovviamente a pazienza certosina e nervi saldi. Non è umano obbligare certi docenti che espressamente si dichiarano non all’altezza del compito (per varie motivazioni) di affiancare alunni con particolari problematiche e conseguenti esigenze.

Durante la mia carriera lavorativa, ho assistito a scene spiacevoli. Ho visto di tutto, persino ragazzi aggredire l’insegnante che non sapeva più come riportare la situazione alla normalità. Lavorare tutti i giorni in simili condizioni diventa massacrante, impossibile e la tensione arriva alle stelle! La responsabilità di un’insegnante in talune circostanze è veramente troppo onerosa. La salute stessa finisce per esserne compromessa. Ci sono anche casi in cui docenti o educatori mentalmente chiusi, si ostinino a tenere detti alunni in classe, anche quando la cosa diventa pericolosa.

Prima di affidare un ragazzo estremamente problematico ad un insegnante di sostegno, sono fermamente convinta che dovrebbe essere compito dell’insegnante stesso accettare o meno e prima di firmare il contratto, dovrebbe conoscere il caso specifico, per poi valutare. Capisco che spesso gli istituti scolastici fatichino a trovare gente specializzata, ma non dovrebbero nemmeno ricorrere a trabocchetti per adescare gli sprovveduti ignari dipendenti, nascondendo loro le vere diagnosi e problematiche che potrebbero avere in seguito, ovvero una volta firmato il contratto.

La dirigenza non dovrebbe, anche per questione di onestà, pretendere che insegnanti fragili, cagionevoli o sofferenti d’ansia, si prendano carico di situazioni insostenibili! In assenza poi “anche momentanea” dell’insegnante titolare, il dirigente non dovrebbe costringere il collega di turno alla sostituzione, come purtroppo accade. Spesso i più svantaggiati sono gli ultimi arrivati e coloro che non rientrano nelle grazie della dirigenza. L’istituzione scolastica “secondo me” dovrebbe prendere più seriamente in considerazione le problematiche in questione e non gestirle superficialmente come purtroppo spesso si verifica.

Sempre a mio avviso, per gestire a dovere i casi estremi, non necessitano soltanto gli insegnanti, ma addirittura degli infermieri specializzati nello specifico settore. I dirigenti tendono spesso ad essere pignoli verso gli educatori, anche per quanto riguarda la gestione burocratica, ovvero la compilazione di registri, verbali e quant’altro, che resteranno poi soltanto carte archiviate prive di utilità.

É triste doverlo ammettere, ma a tanti di questi burocrati direttori, interessa più la parte formale, la facciata, l’etichetta, piuttosto che il pratico contenuto…e questo non è giusto! Se invece costoro concentrassero le loro energie sul lavoro materialmente concreto e non solo teorico, si impegnassero maggiormente verso le reali problematiche anche umanitarie, comprese le tutele dei docenti, la Scuola, senza dubbio funzionerebbe molto meglio e ne guadagnerebbe in credibilità dignità e prestigio.

COME TUTELARSI DAI DIRIGENTI TIRANNI

Dopo aver conosciuto l’ incredibile esperienza di Nadia e in base alle mie esperienze vissute, in veste di docente di Arte e Immagine e di sostegno, sono arrivata ad una conclusione. Quando un insegnante viene convocato dal dirigente, non dovrebbe mai presentarsi da solo, perché esiste un alto rischio che questo superiore possa abusare in qualche modo, usando il proprio potere. Si può correre il rischio di subire minacce, ricatti o umiliazioni, per cui sarebbe il caso, per i colleghi ancora inesperti o sprovveduti, di tutelarsi portando un testimone fidato. In molti casi non è facile avere a disposizione una persona neutrale ed estranea all'ambiente di lavoro, perché non potrebbe avere accesso nella scuola, per cui sarebbe più opportuno, nel caso in cui il dirigente ti stia dando un ordine che ti lascia spiazzato, di non essere disponibile ad ascoltarlo, chiedendogli di comunicarti il tutto per iscritto. Se questo dirigente o vicario non dovesse accettare di farlo con questa modalità, significa che ti stava proponendo qualcosa di illegale.

Emblematici sono i casi in cui alcuni presidi (con modi sfacciati) hanno ricattato dei docenti (poco ben voluti) affinché si trasferissero in un’altra scuola. Questi tiranni meriterebbero una bella denuncia. Purtroppo però nel momento in cui il preside non rilascia nessuna traccia scritta, è impossibile dimostrare quanto è accaduto. Nel caso in cui un docente venisse convocato nell'ufficio, credo sia opportuno rifiutarsi, replicando con queste parole: “Non posso avere un colloquio privato con la sua persona, perché qualora ricevessi da lei delle minacce, in seguito non avrei in mano le prove necessarie per denunciarla. Se deve comunicarmi qualcosa, lo metta per iscritto”.

RIFLESSIONI PERSONALI

Come mai ci sono alcuni insegnanti che riescono a gestire le classi e tanti altri che non sono capaci di farlo? Con l’esperienza diretta e con quella indiretta, sono arrivata alle mie conclusioni: non dipende dalla capacità del docente, né tanto meno dalle strategie da adottare o da inventare. I corsi di aggiornamento in merito si tengono già da diversi anni e se fossero efficaci, non dovrebbero più esistere insegnanti che hanno difficoltà con le classi. Esistono docenti che per indole, per dotazione psicofisica e quindi per carattere, riescono persino senza troppo spreco di energia, a tenere sotto controllo e a bada una scolaresca.

Tutti i corsi di aggiornamenti, gli addestramenti a cui noi docenti siamo sottoposti per acquisire delle cosiddette strategie, hanno un’utilità relativa di fronte a fenomeni di irrispettosità o indisciplina degli alunni nei confronti degli insegnanti; come un gioco di forze tra la scolaresca e i docenti. Gli alunni istintivamente, ancora meglio di come saprebbe fare un animale, pesano la valenza caratteriale del docente, valutano se è un buono o è un duro e chiaramente in questo confronto a poco possono valere le strategie e le tattiche.

Ovviamente come sappiamo, i ragazzi da quando sono soli a quando sono in gruppo, sfoderano due tipi di personalità molto differenti: grazie ai meccanismi della psicologia di gruppo, riescono ad esternare atteggiamenti e comportamenti che sono tipici del branco, acquistano maggiore libertà di movimento e sfrontatezza, diventando i leaders negativi della classe, dietro ai quali se ne accodano diversi. I ragazzi di oggi, quelli della nostra società moderna, molte volte vivono in famiglie dove si permette loro tutto, dove l’ultima nozione che si impartisce è il rispetto di ordini e di regole, per cui l’insegnante è costretto molte volte a ricostituire da zero questo bagaglio mancante, perché tu parli e loro non ti ascoltano, ti alteri ed è come se nulla fosse.

Insegnanti che possono vantare maggiore successo e maggiore presa sulla classe, anche loro addestrati e strateghi, sappiamo benissimo che in molte occasioni, solo per farsi ascoltare devono urlare a squarciagola o picchiare violentemente oggetti sulla cattedra. Ciò dimostra che quando si è in difficoltà non basta più la metodologia applicata sugli umani, ma quella applicata all’etologia, in altre parole, spesso e volentieri si è costretti a metodi che fanno riferimento a paure e timori. Per essere rispettati quindi non servono strategie, ma bisogna essere in grado di intimorire o psicologicamente minacciati. Se prendiamo il caso di un insegnante dall’indole bonaria, malgrado tutti i corsi che avrà potuto sostenere, di fronte alla scolaresca sarà sempre in difficoltà, perché i ragazzi si accorgono sempre di quello che c’è sotto, cioè del carattere, della capacità o non capacità di incutere loro paura.

Un paragrafo a parte sono quei ragazzini originari di culture in cui ancora oggi è in voga la buona educazione, per fare qualche esempio, cinesi, giapponesi, pachistani, a volte nord-africani, tutti questi e forse anche di altre etnie, posseggono il bagaglio che possiamo definire “buona educazione”, quell’educazione che dalle nostre parti è stata annacquata da modelli ultra moderni di rapporto genitori - figli, in cui tali familiari hanno sovvertito il loro ruolo di genitori – educatori trasformandolo al ruolo di genitori - amici. Ecco perché la stessa scuola non ha più gli strumenti per intervenire nel suo ruolo educativo, in tutti quei casi in cui i comportamenti scorretti dai figli vengono puntualmente difesi e giustificati dai rispettivi genitori.

Noi insegnanti in questo tipo di scuola è come se dovessimo rinunciare ogni giorno a un po’ della nostra dignità, perché il sistema in cui operiamo è già soggiogato ad una moda dilagante e inarrestabile. La moda dell’educazione, che era una volta un fenomeno circoscritto e raro, quindi facilmente controllabile, adesso dilaga ed è il fenomeno più diffuso.

DIRIGENTI O DIRIGIBILI?

L’organizzazione di una Istituzione scolastica pubblica richiederebbe una dirigenza menageriale, ovvero di un capo che sappia valorizzare nei diversi aspetti le potenzialità di tutti i suoi dipendenti. Questo modello è quello che in teoria si auspica per tutte le scuole, ma che in realtà si realizza soltanto in casi eccezionali. Nella stragrande maggioranza dei casi, un dirigente scolastico diventa un comune impiegato, oberato però di responsabilità e impegni gravosi, per la maggior parte affidati a fiduciari. É proprio per via di queste devoluzioni di responsabilità e di carichi di lavoro che spesso si instaura una sorta di frammentazione del potere.

Chi collabora col dirigente, spesso non si limita a eseguire il suo compito, ma pian piano inizia ad arrogarsi facoltà e libertà che non gli competerebbero e che comincia ad esercitare nei confronti e a danno del primo collega che non gli sta simpatico. É un dato di fatto che in qualsiasi ambiente lavorativo, ma anche in tutte le comunità, attecchiscano rivalità e invidie. In ambito scolastico, dovrebbe essere il capo d’Istituto a mitigarle e a sedarle, invece spesso si instaura quel meccanismo perverso in base al quale il preside, segretamente si schiera dalla parte dei più forti, accontentandone le richieste anche illecite e sperando così di dover rischiare meno, da dirigente che dovrebbe essere, si trasforma in dirigibile, il ruolo che avrebbe dovuto avere, quello di paciere e di arbitro imparziale, viene trasformato in strumento e arma impropria, a servizio dei capricci dei prepotenti.

> SCHERZI EDUCATIVI

Vorrei concludere con un racconto, che oltre ad essere caratterizzato da una dose di umorismo, esprime una verità profonda e dovrebbe far riflettere chi possiede dei pregiudizi e ragiona soltanto per schemi. Un Dirigente Scolastico aveva l’abitudine di umiliare i suoi dipendenti docenti ed in particolare coloro che non suscitavano soggezione ai propri alunni, come se fosse una colpa o una mancanza. Sappiamo benissimo che i ragazzi in età adolescenziale, messi insieme, formano una specie di branco ed hanno un fiuto come gli animali.

Se temono il docente, lo riconoscono come il capo-branco, ma se questo non suscita timore, cercano in continuazione di sfidarlo e di sottometterlo, ma solo se sono in gruppo, proprio come farebbero gli animali. Durante le ore di lezione, gli faranno tutte le angherie possibili immaginabili, impedendogli persino di svolgere il suo lavoro. Non ci sono minacce, note disciplinari o voti che tengano, per intimorire gli alunni più sfacciati, affinché si comportino in modo civile. Non ci sono strategie che tengano, se il docente non è considerato come il capo- branco.

Fatta questa premessa, se gli alunni delle Elementari, delle Medie e a volte anche nelle Superiori, avessero la maturità per capire che l’insegnante non è un domatore che deve domare le “bestie”, il problema non sussisterebbe. Ebbene, il Preside, dinanzi a simili problematiche, puntualmente cercava di colpevolizzare tutti quei docenti che non riuscivano a gestire le classi e non capiva che dipendeva esclusivamente dai ragazzi che non temevano il docente di turno. Dipendeva quindi dalla mancanza di educazione non ricevuta dalle famiglie, proprio come si comporterebbero i bambini all’età dell’infanzia. In verità se un insegnante ha un aspetto “pericoloso”, si fa rispettare e di conseguenza non fa fatica a gestire le classi. Come nella giungla, vige la legge del più forte.

Un giorno il Dirigente si presentò in Aula Magna, per il Collegio dei docenti stabilito. Erano circa 80 docenti, tra insegnanti delle scuole elementari e scuole medie. Il Preside salutò gli insegnanti e iniziò ad affrontare tutte gli argomenti in merito al lavoro scolastico. Qualcosa però non andò nel giusto verso: i docenti lo ignorarono, continuando a parlare tra di loro, come se facessero salotto. Il Dirigente cercò di portarli all’attenzione, ma senza alcun risultato. Continuarono ancora a conversare, ignorando la sua presenza. Prese il microfono e parlò con voce decisa, ma loro fecero orecchio da mercante, dopo un po’ si mise a urlare: “Basta! Questa è mancanza di rispetto! Siamo al Collegio dei docenti!”

Gli insegnanti non si scomposero. Urlò: “Siete peggio degli alunni! È inaudito!”

La sensazione che ebbe quel preside, fu quella di trovarsi in un manicomio. Ad un certo punto, se ne andò. Tutti gli insegnanti ovviamente dopo un po’ si alzarono e se ne andarono pure, quindi il collegio non ebbe inizio. Il Dirigente si sentiva fallito, oltre che disgustato e molto perplesso e si faceva dei sensi di colpa: “Dove avrò sbagliato? Perché gli insegnanti mi hanno ignorato? Perché non riconoscono la mia autorevolezza? Sono tutti matti? Non riesco a capire cosa stia succedendo!”

Il giorno successivo uscì in prima pagina la testata: “Collegio dei docenti sospeso a causa dell’indisciplina degli insegnanti, ecc ecc”.

I lettori non potevano credere a ciò che era accaduto! Ridevano all’impazzata dicendo: “Ma stiamo scherzando? E poi gli insegnanti si lamentano dei loro alunni che non ascoltano, quando sono i primi loro ad essere così stupidi da non riuscire nemmeno a fare silenzio durante un Collegio dei docenti!” Alcuni dicevano: “Colpa del preside, perché non riesce a educare i suoi docenti!”

Altri dicevano: “Si possono capire i ragazzini che non conoscano l’educazione, ma gli adulti, persino gli insegnanti che dovrebbero dare l’esempio, si comportano da pazzi?! Non è ammissibile!”

Persino gli alunni indisciplinati quando lessero l’articolo, rimasero increduli e sghignazzarono dalle risate, perché non potevano concepire come ciò potesse essere accaduto. In pratica nessuno aveva capito che si trattava di uno scherzo. Gli insegnanti non erano matti, ma non avevano fatto altro che architettare questa messa in scena, di pessimo gusto, mirata, per dare al Preside una bella lezione. La loro finalità era di trasmettergli un insegnamento di vita, non solo per fargli provare la sensazione di ciò che si prova quando un insegnante non riesce ad essere rispettato dagli alunni o quando tenta di spiegare la lezione e non è ascoltato, ma soprattutto per fargli capire che non dipende dalla sua incapacità! Infatti se il Preside non era stato capace di zittire i docenti in platea, era perché loro stessi avevano deciso di non ascoltarlo e quindi lui non avrebbe potuto imporglielo con la forza o con la severità!

La “vendetta” non era ancora finita. Il secondo scherzo, quello più interessante, doveva ancora arrivare. Adesso dovevano dare un’altra lezione, non solo al Preside, ma anche a tutti i genitori degli alunni maleducati, che avevano avuto pure il coraggio di calunniare i docenti a cui veniva impedito di poter lavorare tranquillamente a causa della condotta dei loro figli, sostenuti dalle famiglie e pure giustificati dal Preside. Alcuni giorni dopo, gli insegnanti ebbero un’idea geniale, pensarono di fare una sorpresa (sicuramente poco gradita) ai genitori e al Dirigente. Mandarono gli inviti a tutte le famiglie per la visione di un video molto importante e istruttivo, comunicando soltanto il titolo: Documentario straordinario: “Sorpresa natalizia”.

Così, prima di Natale, arrivò il giorno tanto atteso. Tutte le famiglie degli alunni, anche i più sfrenati, si recarono in Aula Magna. Invitarono parenti e amici per il rinfresco. Anche questa volta il Preside fu buggerato dai docenti (in fondo se lo meritava a causa della mancanza di fiducia che riponeva in loro) per cui prima di cominciare a trasmettere il video, il dirigente intavolò un bellissimo discorso, ovviamente fuori luogo, in quanto non c’era un nesso col “Documentario” che avrebbero conosciuto. Del resto anche lui era all’oscuro dell’argomento. Infine rivolgendosi ai genitori disse: “Questo video sarà una sorpresa per tutti noi e spero che sia di vostro gradimento”. Continuò: “Ho deciso di fidarmi dei docenti, quindi sono certo che sarà anche per me una gradita sorpresa!”

Dopo tutto il Dirigente, pensava di farsi perdonare dagli insegnanti a cui non aveva dato mai la credibilità, né tanto meno rispettabilità, ma non riusciva affatto a capire di cosa si trattasse, perché il conto da pagare non era ancora saldato del tutto. Quando visionarono il lungo video, rimasero tutti esterrefatti. Tanti si sentirono sprofondare. In pratica gli insegnanti sin dall’inizio dell’anno scolastico, avevano piazzato delle telecamere nascoste nelle aule e persino nei corridoi, in modo da poter riprendere le lezioni che si svolgevano durante l’orario scolastico e soprattutto la condotta dei ragazzi.

Tutti poterono vedere coi propri occhi il comportamento irrefrenabile dei propri figli nei confronti di tanti docenti, quelli ovviamente non temuti e trattati ineducatamente. Ragazzini che sfidavano gli insegnanti, che rispondevano in malo modo, che disturbavano in classe, che si alzavano continuamente dal posto, classi intere che facevano baldoria durante la spiegazione dell’insegnante e/o durante la verifica in classe, alunni che litigavano tra di loro, ecc, ecc. Spesso i docenti avevano la sensazione di trovarsi tra detenuti piuttosto che nelle aule di una scuola o addirittura in una bolgia infernale. Era tremendo non solo sentirsi impotenti senza la possibilità di far lezione, ma essere in balia di un numero elevato di forsennati, dovendo subire i perforanti e continui urli dei ragazzi, senza potere scappare.

Solo in quel momento i genitori capirono chi fossero veramente i propri figli e quindi compresero che le versioni riportate da loro erano del tutto false. Come avevano potuto fidarsi ciecamente dei propri rampolli, in età della stupidera quasi fossero persone adulte e responsabili? Come mai non si erano informati con i docenti, ascoltando la loro versione per poi trarre le somme prima di dare un giudizio? Invece i genitori pensavano e dicevano che i docenti non avevano voglia di lavorare, assegnavano i compiti ai loro figli senza spiegare la lezione, o spiegavano con una voce non adeguatamente alta. Li criticavano perché davano dei voti bassi, perché erano indietro nel programma o troppo veloci nel programma stesso e chi più ne ha più ne metta. Quanta ignoranza e quanta mala fede!

Adesso però c’erano le prove e nessuno poteva essere all’oscuro e la testimonianza dei fatti, dato che era stato tutto documentato e messo alla luce di tutti. Il Preside si sentì cadere le braccia, era imbarazzatissimo. Ovviamente anche i genitori erano a disagio, si sentivano umiliati, perché per loro era stata una sgradevolissima sorpresa, ma tutto sommato meritata. Adesso i fatti erano testimoniati e non potevano essere travisati o nascosti. Fecero tutti una pessima figura: alunni, famiglie, il dirigente, che pur di non scontrarsi con loro, era sempre pronto a difendere a spada tratta i genitori, addossando sempre le colpe ai poveri docenti i quali non potevano garantire un adeguato profitto scolastico, se non esistevano i presupposti.

Fecero anche una pessima figura i docenti “saputelli” e arroganti e privi di umanità che avevano il coraggio di trattare in malo modo gli alunni disagiati o con patologie, urlandogli e anziché tutelarli perché più fragili, venivano terrorizzati. Tali insegnanti, indegni meriterebbero di cambiare mestiere. Guarda caso, questi docenti sono temuti dalle classi. Da quel giorno il Preside iniziò a rispettare tutti gli insegnanti e i genitori che fino a quel momento avevano calunniato gli insegnanti, prendendo per oro colato le versioni false riportate dai figli maleducati e bugiardi, ebbero la possibilità di ricredersi, anche se non ebbero mai il coraggio di scusarsi, accecati dal loro orgoglio. Il vero problema era che gli immaturi genitori non erano stati capaci di educare i loro figli e adesso raccoglievano ciò che avevano seminato. Il giorno successivo uscì un altro articolo sul giornale che suscitò molto interesse e per tanto tempo se ne parlò. Il titolo era: “Scherzi educativi”.



CURRICULUM di Olga Serina

. Cantautrice dal 1983 al 1989

. Ritratti dal vero ai turisti presso la Fiera del Mediterraneo di Palermo e nella località di Taormina (dal 1983 al 1997).

. Animatrice caricaturista e ritrattista presso Agenzie di Spettacolo di Milano per Convegni e feste private (dal 1990 al 1998).

. Lezioni private di disegno e pittura a Legnano (dal 2006 al 2014) per bambini e adulti.

. Mostre di pittura presso Gallerie, Comuni, Chiese in diverse località e presso il Palazzo Ducale di Palma di Montechiaro (dal 1983 al 2014).

. Video: ARTE PURA di Olga Serina (650 opere artistiche) Durata 40 minuti.

. Dal 2007 Insegnante di Arte e Immagine presso Ministero della Pubblica Istruzione (provincia di Milano).

. Pubblicazioni libri dal 1989 al 2018:

1 - GRANDE TERRAZZA (Racconti di esperienze di viaggio).

2 - SULLE ALI DELL’ARTE (Considerazioni e riflessioni del rapporto tra arte e spiritualità).

3 - DIO NEL CUORE (Riflessioni sul tema spirituale).

4 - IL MIRACOLO CONTINUA (Riflessioni sui segni del soprannaturale).

5 - LA REALTA’ CHE SUPERA LA FANTASIA (Racconti umoristici, reali e fantastici).

6 - SOS SCUOLA (Ricognizione di testimonianze raccolte tra persone operanti nell’ambito scolastico).

7 - IL MATRIMONIO DEL CACTUS (Racconti umoristici).

8 - USI E ABUSI DEL POTERE (Storie di mobbing nella Scuola).

9 - QUANDO I NANI SI SENTONO GIGANTI (Racconti tra fantasia e realtà).

10 - PENSIERI PER VOLARE (Meditazioni di uno spirito libero).

. Realizzazione di video (pubblicati su youtube) riguardanti recite, poesie, racconti e riflessioni, che trasmettono messaggi educativi, illustrati dalla stessa autrice, tra cui:

“Dall’ignoranza nasce il business”.

“La sovversione del senso dell’arte”.

www.olgaserina.it pagina fb: Olgallery pagina fb: Olgabook

INDICE

. Presentazione di Silvio Sgamma ……………. 3

. Recensione di Manmon ……………. 4

. Prefazione ……………. 5

PARTE PRIMA

. Considerazioni …………….. 7

. La dirigente intrattabile …………….. 8

. Svolto dell’episodio …………….. 10

. Il dirigente che segue l’onda …………….. 19

. Quando i dirigenti non svolgono il proprio lavoro …………….. 24

. Il danno di una psicologa plagiata …………….. 29

. Il verbale contestato ……………. 30

. Quando la convinzione e l’ignoranza superano il buon senso ….. 34

. La sobillatrice e la madre gelosa …………….. 36

PARTE SECONDA

. Riflessioni ……….. 52

. Genitori complici della maleducazione ………. 54

. Quali strategie adottare? ……….. 55

. Dedicato a tutti coloro che invidiano chi usufruisce della 104 ……. 58

. Videosorveglianza ………. 60

. Come relazionarsi tra colleghi di lavoro ………. 63

. Come difendersi dalle persone aggressive ……… 65

. L’ insegnante amata e invidiata ……… 67

. Gli insegnanti di sostegno in difficoltà ………. 72

. Come tutelarsi dai dirigenti tiranni ………. 74

. Riflessioni personali ……… 75

. Scherzi educativi ………. 77

. Curriculum ……… 84


USI E ABUSI DEL POTERE  
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